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Black new deal: il vero rischio della transizione ecologica

Percorriamo uno sterrato leggermente scosceso prima di fermare la macchina e proseguire a piedi. Il paesaggio rurale di Gornje Nedeljce, attorno a noi, ricorda gli scorci di campagna disegnati dai bambini, ma in questo lembo di Serbia occidentale le casette non hanno più porte, finestre o tetti.

“Dopo aver acquistato i terreni e le abitazioni, la multinazionale ha autorizzato gli ex proprietari a portare via tutto ciò che poteva essere riutilizzato, come gli infissi e le tegole. Il progetto prevede che qui venga tutto demolito per far posto alle infrastrutture della cava”. A parlare è Miroslav Mijatović, presidente e fondatore di Pakt, associazione non governativa impegnata nella lotta alla corruzione e attiva nella tutela dei diritti ambientali. 

Miroslav Mijatović, Presidente della ong PAKT

Mi racconta i piani di estrazione mineraria in programma nella Repubblica balcanica, menzionando ritmicamente le numerose controversie legali di Rio Tinto, una delle holding che ha deciso di investire sul territorio, già sotto inchiesta in Australia per la deliberata distruzione di un importante sito archeologico e accusata di crimini ambientali anche in Papua Nuova Guinea.

A Gornje Nedeljice e Brezjak, nella valle del fiume Jadar, Rio Tinto ha già acquistato l’80% delle proprietà. Il risultato è che gli abitanti rimasti ancora in loco sono costretti a vivere immersi in un paesaggio spettrale e desolato, ben diverso da quello che si poteva apprezzare prima dell’arrivo della multinazionale

In Serbia tutto ha inizio nel 2004 quando due geologi della compagnia, in cerca di borati (gli ossoanioni derivati dall’acido borico, ndr), scoprono fortuitamente un composto roccioso contenente una grossa percentuale di litio. Siamo nei dintorni di Loznica, a pochi chilometri dal confine con la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, in un fazzoletto di terra in cui scorrono la Drina e il suo affluente Jadar. Ed è proprio in onore di quest’ultimo corso d’acqua che il nuovo minerale viene battezzato jadarite.

Diciassette anni dopo il gruppo, di proprietà anglo-australiana, annuncia un piano di investimento di 2,4 miliardi di dollari. L’obiettivo è la realizzazione di una delle più grandi cave al mondo, con una stima di estrazione di 2,3 milioni di tonnellate di litio da destinare alla produzione di batterie per il mercato automotive occidentale.

Un sito di perforazione nel villaggio di Brezjak, segno delle attività di monitoraggio del sottosuolo a opera di Rio Tinto. Le operazioni della multinazionale nella valle dello Jadar hanno già determinato alcuni effetti negativi. Diversi agricoltori dei villaggi nella provincia di Loznica hanno visto riversarsi una falda sui raccolti, a seguito di indagini esplorative costituite dall’installazione di piezometri per la misurazione del carico idraulico sotterraneo

Il tutto con il beneplacito di un’Unione europea, affamata di mobilità sostenibile, e del presidente Aleksandar Vučić, attratto dall’opportunità di risollevare l’economia del Paese e, allo stesso tempo, speranzoso di ottenere una corsia preferenziale per l’accesso della Serbia in Ue.

Visto da fuori sembrerebbe un affare win-win e senza controindicazioni, ma c’è un costo ambientale da considerare: la produzione, nell’intero ciclo di vita della miniera, di 57 milioni di tonnellate in rifiuti tossici industriali. Senza contare poi l’abnorme consumo idrico necessario al processo di raffinazione e la collocazione geologica dei siti estrattivi, pianificati sotto i letti alluvionali dei fiumi Korenita e Jadar, potenziali vettori di materiali di scarto inquinanti verso i grandi corsi d’acqua limitrofi, quali Drina, Sava e Danubio. 

Ad oggi in Serbia non esiste una legge chiara e definita che regolamenti lo sfruttamento minerario del territorio

“Per convincere gli abitanti a trasferirsi altrove, Rio Tinto ha offerto cifre fino a quattro volte superiori al reale prezzo delle case. In molti hanno accettato e il risultato è questo cimitero di edifici. Fortunatamente però qui c’è ancora chi lotta per restare e che lo farà a qualsiasi costo”, spiega Miroslav.   

Se dunque certe famiglie residenti hanno cavalcato l’onda di plusvalenze immobiliari per fuggire altrove, altre hanno invece organizzato la resistenza. Un vero e proprio piano di salvaguardia del territorio che ha visto nascere associazioni e gruppi ambientalisti autofinanziati.

Brezjak. Leposava Tešić nella sua abitazione, in uno dei villaggi la cui sopravvivenza è minacciata dal progetto Jadar. Recentemente ha ricevuto una proposta di acquisto della sua proprietà da parte della multinazionale e la ha rifiutata

La ong di Miroslav ha fornito loro, nel tempo, supporto giornalistico e investigativo. Da un paio di anni si conoscono così i dettagli del piano minerario e si hanno stime precise dell’impatto dei siti estrattivi, grazie anche alla collaborazione di enti scientifici e ricercatori indipendenti.

Le martellanti proteste di piazza nella capitale, Belgrado, e le continue manifestazioni di dissenso locale, hanno sortito i primi effetti all’inizio del 2022, costringendo il governo ad escludere Rio Tinto dal piano territoriale nazionale e a sospendere temporaneamente le licenze di esplorazione. Un dietrofront per certi versi imbarazzante, specie se si guarda alle interviste del premier del 2021, in cui definiva in salsa patriottica i futuri scavi come “una grande opportunità per il Paese”, accusando ad un tempo i dissidenti di politicizzare l’ecologia per rovesciare il potere.

Stupinica. La famiglia di apicoltori Jakovljevic siede accanto alle raffigurazioni dei rispettivi santi protettori. Si tratta di una tradizione religiosa esclusivamente serba, non presente in altri Paesi ortodossi. Queste figure sacre vengono tramandate di generazione in generazione, consolidando così i legami tra consanguinei. I coniugi, come tanti altri abitanti del luogo, non sono disposti ad abbandonare casa e attività anche in virtù dell’attaccamento ai loro antenati

“Si è trattato solo di una mossa strategica di Vučić in vista delle elezioni presidenziali dello scorso aprile che, non a caso, lo hanno confermato per il terzo mandato consecutivo. A conti fatti non è cambiato nulla. Dopo la sospensione delle licenze di estrazione, Rio Tinto, come le altre aziende minerarie presenti in Serbia, ha continuato a investire sul territorio e ad acquistare terreni a cuor leggero, precisa Miroslav.

Gornje Nedeljice. Una mappa della valle dello Jadar mostra le proprietà acquisite da Rio Tinto dopo la sospensione delle licenze di estrazione, decretata a fine gennaio 2022 dal Primo Ministro Ana Brnabić. Secondo gli abitanti dei villaggi coinvolti, il fatto che la multinazionale continui ad acquistare lotti di terreno dimostrerebbe che la sospensione del progetto è solo temporanea. I residenti hanno perciò recentemente presentato un esposto al Governo e al Ministero delle Miniere e dell’Energia nel quale richiedono l’annullamento dei contratti di vendita realizzati dopo lo stop del progetto e la modifica della legge sull’estrazione mineraria

È d’accordo con lui anche Zlatko Kokanovic, vicepresidente di Ne Damo Jadar, una delle principali associazioni ambientaliste della zona. Veterinario e agricoltore, gestisce da più di trent’anni una fattoria a Gornje Nedeljice insieme al fratello. I due hanno rifiutato la proposta della holding, interessata a prendere in affitto la loro proprietà per effettuare perforazioni e ricerche geologiche. 

Gornje Nedeljice. Zlatko Kokanovic nella sua fattoria

“I media cercano di convincerci che è tutto risolto, ma in realtà la battaglia è appena cominciata e continuerà fino a quando il governo non introdurrà delle misure legislative chiare sullo sfruttamento minerario. Le norme qui sono aleatorie, i rappresentanti politici sono spesso collusi ed è per questo che tantissimi investitori esteri vengono dalle nostre parti. Sanno bene che possono fare più o meno quello che vogliono”, afferma.

Le sue opinioni si fanno carico di un sentire comune del popolo serbo e confermano le statistiche secondo cui l’indice di percezione della corruzione della classe politica riscontrato tra gli abitanti della nazione è tra i più alti al mondo.

Dragan Karajčić, Presidente della comunità locale di Gornje Nedeljice, e Aleksandar Karajčić. Entrambi fanno parte dell’associazione Ne Damo Jadar. Come Zlatko Kokanovic, I Karajčić vedono Rio Tinto come un vero e proprio invasore e non escludono l’eventualità di una guerra civile nel caso in cui lo Stato non dovesse emanare una legge che vieta lo sfruttamento minerario

“La mia famiglia abita qui da cinque generazioni. Questo territorio ci ha dato sostentamento e per questo lo abbiamo sempre rispettato e protetto. Personalmente sono disposto anche a imbracciare un fucile se questo può servire a lasciare ai miei figli tutto quello che ho costruito insieme ai miei avi. Noi siamo persone pacifiche, guarda come viviamo. Ci piace la natura, amiamo la nostra gente e viviamo in simbiosi come una vera comunità. Tutto questo non può e non deve finire“.

Le famiglie che abitano la valle del fiume Jadar vogliono far crescere i figli in un ecosistema sano e lasciare loro in eredità la terra. I membri dell’Accademia serba delle scienze e delle arti (Sanu) confermano che il progetto minerario avrebbe delle conseguenze disastrose per il territorio. I siti di estrazione comprometterebbero il futuro delle nuove generazioni e cancellerebbero l’economia agricola dell’area rurale, che produce attualmente un reddito stimato di circa 80 milioni di euro l’anno

Ma in questa verde vallata che vive di agricoltura e allevamento c’è anche chi, pur non essendo direttamente coinvolto nei piani del colosso anglo-australiano, ha subìto comunque danni per la sua presenza sul territorio. 

È il caso di Predrag Đurić, allevatore di Korenita. La sua casa e la sua fattoria sono infatti fuori dal raggio d’azione della multinazionale e a qualche chilometro di distanza dalle terre che dovrebbero ospitare il centro per lo smaltimento dei rifiuti minerari ma, da quando Rio Tinto ha cominciato ad acquistare terreni in zona, le attività collaterali dell’azienda agricola di famiglia sono cessate improvvisamente.

 Korenita. Predrag Đurić nella stalla della sua fattoria

“Nel corso degli anni ho investito migliaia di euro e acquistato attrezzature che noleggiavo a diversi contadini. Da quando questi hanno venduto i loro terreni a Rio Tinto ho perso buona parte del mio fatturato annuale”, mi racconta.

Predrag, tuttavia, non è preoccupato solo dei suoi introiti. Mentre discutiamo in salotto, lascia la sua tazza di caffè chiedendomi di aspettarlo un attimo. Torna un minuto dopo e, con il braccio teso, mi porge un documento d’identità. La carta è sgualcita da un numero di anni che non so quantificare, ma la foto virata in seppia è nitida e fa ancora il suo mestiere.

“Questa è la tessera militare di mio nonno. Lui ha combattuto e rischiato la vita per difendere la sua terra, perché non dovrei farlo anche io?”, mi dice.

Korenita. Un documento del nonno di Predrag Đurić, combattente nel Secondo conflitto mondiale

Le sue parole sembrano banalmente patriottiche, ma in realtà tracciano i contorni di un legame con la Storia ben diverso da quello occidentale perché il rapporto con il tempo di questo popolo non ha niente a che vedere con il nostro. 

Qui la dittatura del futuro non attecchisce e, di conseguenza, la retorica del progresso non fa affari. La gente in Serbia evita di decorare la vita con sottomarche di sogni americani o con utopie ambientaliste appena sfornate. Il passato è più forte e vince su tutto. Specie nei piccoli villaggi, l’impronta culturale degli anni socialisti è ancora viva e ben lontana dagli immaginari favolosi di quello che, spostandomi un centinaio di chilometri più a sud, sentirò definire “capitalismo verde”.

Sono a Srednja Dobrinja, nel comune di Požega, e a parlare così con me è un giovane 30enne.

Brezjak. Anche le nuove generazioni si oppongono allo sfruttamento minerario. Tijana, Lazar e Predrag studiano a Loznica ma vogliono continuare a vivere nel loro villaggio originario. Membri del movimento Ne Damo Jadar hanno partecipato alle proteste e collaborano attivamente con l’organizzazione

Nonostante la sua età Dragan Simović è considerato da molti come un vero eroe della resistenza, merito di un temperamento misurato ma deciso e del suo linguaggio efficace. Oltre a gestire l’azienda agricola di famiglia è leader dell’associazione Inicijativa za Požegu, nata per contrastare l’attività sul territorio locale di Jadar Lithium, altra compagnia mineraria il cui organigramma pare sia legato a quello di Rio Tinto da più di un singolo fil rouge.

Dragan Simović, leader dell’associazione Inicijativa za Požegu, sfoggia con orgoglio il suo copricapo militare. Il giovane viene considerato un eroe della resistenza alla stregua di Živojin Mišić, condottiero serbo che sconfisse nel 1914 l’esercito austro-ungarico

È raro vedere un giornalista qui. I media serbi si tengono a debita distanza. Purtroppo viviamo in un Paese in cui la verità non può essere raccontata dalla televisione nazionale. Il presidente Vučić è stato anche ministro dell’Informazione ai tempi di Milošević, sa come gestire i mezzi di comunicazione di massa e utilizza ogni strumento possibile per consolidare il suo consenso“, mi dice.

Da sinistra. M., dipendente della miniera statale Kolubara, mostra un tatuaggio con la silhouette di Vučić nella sua consueta posa a mani giunte e incorniciato all’interno di un cartello di divieto. M. sostiene di non essere ben visto sul posto di lavoro per il suo disprezzo nei confronti del presidente e che non può manifestare liberamente tale dissenso. A destra, la prima pagina di Blic all’indomani della riconferma di Vučić alla guida del governo

Ma se da un lato il governo controlla la stampa e le tv, delineando la sagoma di una pseudo-dittatura, dall’altro nulla ha potuto contro la democratica orizzontalità della rete, che ha permesso ai membri delle varie organizzazioni ambientaliste di cooperare, incontrarsi, scambiarsi informazioni e  concertare sempre nuove proteste.

Il gruppo capitanato dal giovane Simović, infatti, è parte di un più grande movimento composto da tutte le altre associazioni d’opposizione presenti nella Serbia occidentale, i cui rappresentanti si riuniscono spesso a metà strada, nei dintorni del villaggio di Lukavac.

Rabrovica. L’immagine della tomba di famiglia di Radomir Popović Terezić, ex prete della chiesa dedicata a san Nicola, dove i membri delle associazioni ambientaliste contrarie ai piani minerari sono soliti adunarsi dopo le manifestazioni di protesta contro il governo.

Qui, a pochi chilometri da Kolubara, in un’area già martoriata dall’omonima miniera statale di lignite e dove si registrano le più alte concentrazioni di polveri sottili di tutta la Serbia, c’è un terzo attore minerario di questa storia e che parimenti ambisce al ruolo di co-protagonista: la compagnia canadese Euro Lithium Balkan.

L’azienda ha iniziato la sua attività in questa ulteriore porzione di Serbia nel 2011, inaugurando ben 25 pozzi di esplorazione, tutti con regolare permesso. 

Diversi privati cittadini e agricoltori nella zona hanno tuttavia subito danni a causa dei lavori della compagnia e, come risposta, anche qui si sono aggregati in consorzi ambientalisti per contrastare lo sfruttamento del territorio. 

Klanica. Attivisti locali indicano la vallata nei pressi di Lukavac dove dovrebbe sorgere la miniera della società Euro Lithium Balkan. Negli stessi luoghi, nel 1914, si combatté la battaglia di Kolubara che vide i serbi affrontare l’esercito austro-ungarico, capitanati dal feldmaresciallo Živojin Mišić. Quest’ultimo, non a caso, è stato scelto per il logo del gruppo ambientalista Suvoborska Greda in quanto simbolo della lotta contro l’invasore

Il caso più eclatante è quello di Cvetko Jovanović, membro dell’associazione Marš s Kolubare, il cui pozzo familiare è stato contaminato a seguito delle trivellazioni e che, ad oggi, non può utilizzare la sua acqua privata né per scopi alimentari né per altri usi. Le ricerche condotte dalla Facoltà di chimica dell’università di Belgrado hanno infatti rilevato in un campione idrico del suo serbatoio domestico la presenza di una percentuale di boro ben 108 volte superiore al limite legale consentito in Serbia.

Lukavac. Un campione d’acqua estratto dal pozzo familiare di Cvetko Jovanović

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