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“Chiederò giustizia per Vincenzo fino alla fine dei miei giorni”, il dramma di Lina che ha visto morire il suo bambino – Il Riformista

Prima la diagnosi e le cure sbagliate poi la tremenda verità

Rossella Grasso — 17 Marzo 2023

“Chiederò giustizia per Vincenzo fino alla fine dei miei giorni”, il dramma di Lina che ha visto morire il suo bambino

“Chi perde un figlio perde un pezzo d’anima”, dice Lina Pierro, 36 anni, senza riuscire a trattenere le lacrime. La sua casa a Villaricca comune in provincia di Napoli è piena di foto dei suoi bambini, compreso Vincenzo, il suo primogenito che ha perso quando aveva 4 anni e mezzo a causa di un tremendo tumore. “Oggi avrebbe 8 anni Vincenzo, io non lo vedrò mai crescere e non sentirò mai più la sua voce”, dice guardando una delle foto. Lina non è disposta a cedere di un millimetro: “Mio figlio non ha avuto tutte le cure che meritava di avere e io per questo continuerò a combattere finchè vivo”. Mentre racconta al Riformista il suo dramma i sue due bambini di due e 6 anni la accarezzano e le asciugano le lacrime con le manine: “Mamma non piangere più”, le dicono.

Lina di lacrime ne ha già versate tante. Il calvario del suo Vincenzo inizia ad agosto 2019 quando viene preso in cura con la diagnosi di bronchite asmatica e adenoidi. Il primo aprile 2020 gli è stato diagnosticato un linfoma non Hodgkin di tipo t, un terribile tumore del sangue. Il 2 aprile, nemmeno 24 ore dopo, Vincenzo è morto. “Per 8 mesi è stato curato per le adenoidi con cortisone, broncodilatatori,…nulla che servisse a curare per davvero il suo male – continua Lina – La mia rabbia non è dovuta al fatto che mio figlio avesse questo tipo di tumore che è molto aggressivo e probabilmente sarebbe andata ugualmente così. La mia rabbia sta nel fatto che non è stato curato per quello che realmente aveva, non ci abbiamo nemmeno provato”.

“Noi in media ogni 15 giorni stavamo al pronto Soccorso perché il bambino stava male – continua la mamma – senza contare le visite private…otorino, pneumologo, pediatra,…e alla fine al pronto soccorso mi hanno detto che dovevo stare tranquilla e mi dovevo affidare. Io così ho fatto”. Lina racconta che portò Vincenzo al pronto soccorso perché affannava e come si fermava si addormentava. Era particolarmente senza forze. “Alla mia insistenza un otorino visitò mio figlio e disse che non aveva nulla, erano solo le adenoidi – continua Lina – ma erano 8 mesi che lo curavamo per quello e non c’erano mai miglioramenti. Un’altra dottoressa mi vide seduta in lacrime e le confidai la mia frustrazione nel vedere mi figlio stare male e io non potevo fare nulla. Lei mi rispose: ‘Ve lo dico non da dottoressa ma da madre che al 99,9% il problema di Vincenzo sono le adenoidi. Non si preoccupi perché le sue ansie si ripercuotono sul bambino”. Ma Lina continuava ad avere seri dubbi su quella diagnosi.

Insieme al marito decise di procedere privatamente e fare delle analisi del sangue e una radiografia. “Ci richiamarono entrambi i centri: ci dissero che Vincenzo aveva un polmone collassato e lo dovevamo portare di corsa al pronto soccorso”. Cinque giorni dopo l’ultimo accesso, Lina e Vincenzo erano nuovamente al Pronto Soccorso. “Dai medici che aumentavano dietro il vetro mentre Vincenzo faceva la tac capii subito che c’era qualcosa che non andava – racconta Lina – La dottoressa mi disse che mio figlio aveva una massa. Pensai subito che se per 8 mesi si erano sbagliati si stavano sbagliando anche in quel momento. Pensai anche che non avevo capito io. Io e Vincenzo abbiamo passato tutta la notte svegli in rianimazione. Appena Vincenzo ha visto l’alba mi ha detto: ‘mamma portami a casa’”. Era la cosa che più desiderava al mondo Lina, tornare a casa, aprire gli occhi e scoprire che era solo un brutto incubo.

Mi dissero che il mio bambino aveva l’1% di possibilità di sopravvivere. Solo 5 giorni prima al 99,9% erano adenoidi – racconta affranta – L’oncologo ci disse che la cosa migliore da fare era fare una biopsia per capire di che tumore si trattasse. Ci fecero firmare un foglio dove c’era scritto che molto probabilmente mio figlio non si sarebbe svegliato dall’anestesia: ormai un polmone era andato e solo una parte di polmone continuava a farlo respirare. Io non ero pronta all’idea che quella sarebbe stata l’ultima volta che vedevo mio figlio. Avrei voluto esserci io al posto suo. Me lo tirarono dalle braccia, non l’ho potuto abbracciare quell’ultima volta, nemmeno un bacio. Quando è uscito dalla biopsia era in coma farmacologico. Alla fine lui è stato seguito da un’equipe di eccellenza. L’ultimo giorno. Vincenzo ha avuto il primo arresto cardiaco alle 10.30 e alle 11 meno cinque è morto. L’ho visto per l’ultima volta a quattro anni e mezzo in una sala di obitorio. Non l’ho mai più potuto portare a casa come avrei voluto”.

Da quel momento è iniziata la battaglia di Lina che vuole verità e giustizia per il suo bambino. “Ho fatto un anno di tribunale mentre ero anche incinta – continua Lina – perché credevo di poter dimostrare la colpa che avevano i dottori. Il giudice li ha assolti perché il fatto non sussiste. Comunque cercherò di andare avanti anche facendomi del male perché mio figlio non può finire nel dimenticatoio o in un fascicolo buttato su una scrivania a prendere polvere. La vita ormai è andata e nessuno me lo restituirà. Però che abbiano almeno il pensiero di dire: potevamo fare qualcosa e non lo abbiamo fatto. Continuerò a lottare per lui perché se non lo faccio non sarei sua mamma”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.

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