Tema scottante quello della riconciliazione. Ce lo ricorda la guerra in Ucraina. A complicare le cose è Cristo stesso quando, davanti ai suoi ascoltatori dice: “Se dunque tu presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono”. Nel vangelo non si dice se tu hai qualcosa contro tuo fratello, ma addirittura se tuo fratello ha qualcosa contro di te vai a riconciliarti con lui.
Insomma è come spingere un macigno in salita. Infatti già nella comunità cristiana appena nata(ricordiamo che i vangeli sono il frutto della predicazione della Chiesa primitiva) divampava il problema di una fraternità difficile, complicata, e a volte causa di profonde divisioni interne come quella tra Pietro e Paolo raccontata negli Atti degli apostoli.
Ma le parole di Gesù sono molto chiare. Chi dice stupido o ‘pazzo’ a un fratello non può appartenere a Dio. La tentazione da parte dei discepoli è separare il rapporto con il Signore dal rapporto con gli altri. In pratica un vero e proprio divorzio tra fede e vita. Come è possibile presentare la propria offerta a Dio e pregarlo se poi il mio prossimo viene umiliato, offeso, privato della sua dignità? Offenderlo, rinnegarlo, escluderlo, emarginarlo non equivale forse a ucciderlo?
Ecco dunque l’invito di Cristo a mettersi d’accordo con il proprio avversario “mentre sei in cammino con lui”. Non è un caso che nel monachesimo la conversione veniva tradotta con il termine di ‘conversazione’. Non c’è da
illudersi. Riconciliarsi significa ristabilire la comunione che per la Bibbia significa restituire agli altri ciò che gli è stato tolto o negato ingiustamente. Dietro ogni torto c’è sempre una mancanza di giustizia che chiede comunque di essere colmata e risarcita.
Lo sa bene Zaccheo il quale appena sa che Gesù è entrato a Gerico, esce da casa e si precipita per vederlo. Il suo gesto, veramente inaspettato, coglie tutti di sorpresa perché quell’uomo è tutt’altro che un credente, anzi è un misero pubblicano, peccatore tra i peccatori e amante del denaro. Sale su un albero perché piccolo di statura, e cioè non all’altezza di accogliere il Figlio di Dio.
Ma quando Gesù lo vede esprime il desiderio di entrare nella sua casa. In quel preciso momento la vita di Zaccheo cambia direzione: “Ecco, Signore, io dò la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”.
È bastata una Presenza per trasformare il suo cuore, ma questa Presenza è stata da lui desiderata, preparata, attesa. Egli non solo riconosce il proprio errore, ma restituisce con l’interesse ciò che aveva tolto ingiustamente agli altri. Riconciliarsi significa allora ristabilire la giustizia e Zaccheo il pagano, esattore per conto dei romani, uomo considerato senza Dio, lo ha imparato benissimo e lo ha anche messo in pratica perché ha subito rimediato alle proprie azioni.
In altre parole Cristo sta dicendo ai suoi discepoli che non c’è comunione senza giustizia e quel “perdonate e sarete perdonati” sta per “siate giusti e avrete giustizia”. Nel vangelo il perdono non si consuma nel segreto di un confessionale, ma si traduce immediatamente in vita diventando un modo universale di rapportarsi tra gli uomini. Questo è il regno di Dio, che non è affatto il regno nei cieli, e cioè l’aldilà. Il regno di Dio è invece qui e adesso, ed è tutt’altro che una consolazione all’ingiustizia in quanto viene con giustizia! Già al tempo di Mosè celebrare Dio significava ricomporre l’alleanza tra le tribù d’Israele, quasi sempre costellata da divisioni e incomprensioni, perché solo così era possibile celebrare l’alleanza con il Santo: il culto a Dio si identificava necessariamente nel culto alla vita. Dio non abita in nessuna formalità, anzi si rivela proprio nella capacità di relazione e di comunione che ha il suo sacro fondamento nella giustizia.