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Giorgio Calabrese: “Cara Viola, l’altra voce della scienza dimostra che l’alcol può far bene”

Il nutrizionista risponde alla biologa, professoressa all’Università di Padova, che in un articolo su La Stampa ha denunciato i pericoli di un consumo anche moderato: «Danneggia il cervello, soprattutto nelle donne, aumentando il rischio di tumore»

(GIORGIO CALABRESE – lastampa.it) – Cara Professoressa Viola, le scrivo da medico-nutrizionista clinico a proposito dell’articolo in cui attesta indiscutibilmente che il vino accorcia la vita. La sua affermazione trae spunto, come si legge in calce all’articolo medesimo, da una ristretta quantità di «papers in review», quasi un diktat. Ma a tale ristretta mole di papers si oppongono ben 236.068 pubblicazioni scientifiche che sottolineano la bontà di questo «alimento liquido», come amo definirlo.

Queste sono suddivise tra vino e salute (58.443), vino e resveratrolo (59 456), vino e longevità (4.251), vino e ruolo funzionale dei polifenoli (83.925), vino e problematiche cardiovascolari (20.586), vino e dieta mediterranea (5.970), vino e prevenzione di degenerazioni neurologiche (3.437). Lo scopo comune di questa enorme mole di lavori scientifici è stato quello di dimostrare gli effetti benefici del vino, se assunto in modo responsabile e in dosi moderate nell’ambito di uno stile di vita sano. Il vino consumato con moderazione e intelligenza – e lo dimostrano le evidenze scientifiche – ha effetti benefici, soprattutto se associato ai pasti, specie se in stile mediterraneo.

Anche i singoli composti presenti nel vino (polifenoli, minerali e vitamine) sono stati oggetto di studi e lavori scientifici, pubblicati negli ultimi 30 anni, e questi dimostrano il ruolo funzionale e positivo sull’organismo. I risultati di tali lavori sono una solida base di discussione e confronto con la Commissione Europea. La richiesta fatta alla Commissione stessa da parte dell’Irlanda di apporre l’etichetta «Nuoce fortemente alla salute» su tutte le bottiglie contenenti alcolici risulta, quindi, abnorme. Non prevede distinzione se a basso, medio o elevato tenore alcolico.

Questa richiesta avrebbe lo scopo di allertare i consumatori sugli eventuali rischi associati all’alcol e nasce da una civilissima nazione, che, però, di base ha un elevato consumo di superalcolici e che per dissetarsi, invece dell’acqua, beve birra. Non è così per l’Italia e il Sud Europa. La preoccupazione dell’Irlanda nasce da un dato di fatto incontrovertibile: i troppi incidenti stradali gravi che avvengono in Irlanda. Dunque, pesante è stata la richiesta, ma purtroppo generalizza, colpendo in modo indiscriminato.

Le etichette, di per sé, non salvano e, anzi, talvolta, paradossalmente, possono assumere il ruolo di incentivo, come sta accadendo con il fumo di sigaretta. Basti pensare che negli ultimi due anni in Italia il numero dei nuovi fumatori è cresciuto di circa 800 mila unità. È un noto fattore psicologico quello di essere maggiormente attratti dal proibito. Anche nella storia recente, durante il Proibizionismo negli Stati Uniti tra il 1920 e il 1933, il vino venne colpevolizzato e venne sancito il bando sulla fabbricazione, vendita, importazione e trasporto di alcol. È noto che tale proibizione non andò nella giusta direzione desiderata, cioè di diminuire il consumo dell’alcol. Al contrario, si ebbe un effetto boomerang. E, infatti, aumentarono furti, rapine, evasione fiscale, corruzione, contrabbando e triplicò il numero degli alcolisti rispetto al periodo precedente.

È storia. Come dice un vecchio adagio, «Chi non conosce la storia è destinato a ripeterne gli errori». In Italia, secondo i dati Istat, si beve all’incirca un bicchiere di vino al giorno e siamo passati negli ultimi 30 anni dai 3-4 bicchieri a questo consumo minimo con un contestuale aumento della qualità del vino medesimo. Una moderata quantità appaga il palato, aiuta la digestione e anche la salute cardio-circolatoria.

Il vino contiene l’85-87% di acqua e il 12-15% di materia alcolica, associata a vitamine, minerali e antiossidanti. Chi scrive, più di 40 anni fa, ha definito il vino «un alimento liquido» al pari del latte e dell’olio e, come lei ben sa, anche questi due alimenti liquidi sono, a loro volta, sotto attacco mediatico e non mi stupirei, alla lettura del suo pensiero, che lei faccia parte di coloro che affermano che il buon latte provochi l’insorgenza del cancro.

Io penso che sia necessaria soprattutto un’azione di educazione alimentare e non solo fra i giovani, che sono i maggiori consumatori di birra, energy drink e shortini. Esiste in Parlamento un progetto di legge, che mi vede firmatario, inteso a educare i consumatori al moderato introito di alimenti, solidi e liquidi, spiegando che l’introduzione del minimo bicchiere di vino al dì deve avvenire dai 18 anni in su, quando il fegato è in grado di metabolizzare anche la minima quota di alcol, sempre durante i pasti e mai a digiuno, e men che meno come dissetante.

I dati qui riportati e le vicende storicamente accertate vogliono essere al contempo un invito a rivedere le posizioni rigide, come quelle da lei esposte, quasi da persona astemia, che risultano parziali, ma anche di confrontare le diverse posizioni. Occorre, invece, una visione più ampia e scientificamente condivisa. Auguro a tutti e anche a lei di seguire il mio motto, coniato decenni fa: «Si beve l’acqua e si gusta il vino». Prosit!

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