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Le Filippine rinnovano l’alleanza con gli Usa, smacco a Pechino – Michele Marsonet

A Washington aveva destato sorpresa e allarme l’ipotetico avvicinamento tra le Filippine e la Repubblica Popolare Cinese. Il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr., eletto il 30 giugno 2022, secondogenito e unico figlio maschio di Ferdinand Marcos e della ex first lady Imelda Marcos, si era recentemente recato in visita a Pechino su invito di Xi Jinping.

Le pretese cinesi

Sembrava che Manila e Pechino avessero nell’occasione raggiunto un accordo per porre termine alle dispute marittime e petrolifere che per lungo tempo hanno contrapposto i due Paesi. Com’è noto i cinesi rivendicano ampie porzioni del Mar Cinese Meridionale sulle quali, però, vantano diritti parecchie altre nazioni, dalle stesse Filippine al Vietnam, dall’Indonesia a Taiwan.

Finora Pechino aveva praticato una politica “muscolare”, procedendo alla costruzione e successiva fortificazione di numerose isole artificiali, senza chiedere alcun permesso agli Stati confinanti e giungendo talora a scontri armati con le loro marine militari.

Tutto ciò nonostante il fatto che l’Onu e altri organismi abbiano riconosciuto il carattere internazionale delle acque occupate dalla Repubblica Popolare. La quale, peraltro, non ha mai accettato i verdetti sfavorevoli dell’Onu e degli altri organismi interpellati.

La distensione Pechino-Manila

La frontiera marittima tra Pechino e Manila era per l’appunto una delle più calde, anche in virtù degli stretti rapporti di alleanza che da sempre le Filippine intrattengono con gli Stati Uniti e altre potenze occidentali.

L’accordo avrebbe cambiato dunque il quadro in modo sostanziale. È stata per esempio istituita una “linea diretta” che permette a Marcos Jr. di comunicare rapidamente con il presidente cinese in caso di crisi, e si è pure deciso di dar vita ad un convegno annuale sulla sicurezza che vede coinvolti gli esperti dei due Paesi.

Non risulta, però, che siano stati firmati documenti ufficiali. Quanto è avvenuto, tuttavia, era più che sufficiente per preoccupare Washington, che sin dalla fine del secondo conflitto mondiale considera le Filippine come uno degli alleati più fedeli in questo importante scacchiere asiatico.

L’importanza delle Filippine

Tra l’altro, l’arcipelago ha circa 110 milioni di abitanti, ed è collocato in posizione strategica sulle principali rotte del commercio marittimo mondiale. Le sue forze armate si basano in modo pressoché esclusivo su armamenti americani, e numerosi sono gli aiuti finanziari concessi dagli Usa. Proprio per questi motivi l’amministrazione Biden ha sperato fino all’ultimo che l’accordo saltasse.

In realtà Marcos Jr. deve tener conto del fatto che i cinesi non sono particolarmente popolari nell’arcipelago e che, secondo un recente sondaggio, l’84 per cento dei filippini preferirebbe invece che il governo rafforzasse la collaborazione sulla sicurezza con gli Usa.

L’accordo con Washington

Per fortuna la successiva visita a Manila del segretario alla Difesa americano Lloyd Austin ha sistemato la situazione. Questa volta è stato firmato un accordo ufficiale che consente agli Usa di utilizzare altre quattro basi militari nell’arcipelago, che si aggiungono a quelle già a disposizione delle forze armate di Washington.

Viene così modificato il quadro strategico, messo in pericolo dalla politica di neutralità dell’ex presidente filippino Rodrigo Duterte, il cui mandato è scaduto nel 2022. Indubbiamente si tratta di un tassello importante per la strategia anti-cinese dell’amministrazione Biden.

La missione di Stoltenberg

Si aggiunge, tra l’altro, al sostanziale successo della missione in Estremo Oriente di Jens Stoltenberg. Il segretario generale della Nato ha visitato la Corea del Sud e il Giappone.

Stoltenberg ha chiesto alla Corea del Sud di fornire a Kiev armi avanzate, come del resto sta già facendo con la Polonia. Basandosi sull’appoggio di Pyongyang alla Russia con la fornitura di missili e munizioni, il segretario Nato ha invitato Seul a svolgere un ruolo analogo armando l’esercito di Zelensky.

Più importante ancora è stato il viaggio in Giappone, Paese molto vicino agli Usa. Stoltenberg ha visitato la base a aeronavale nipponica di Iruma, e sicuramente non ha dovuto faticare molto per convincere il governo di Tokyo a svolgere un ruolo più attivo nel contenimento militare della Repubblica Popolare.

Notevole anche l’impegno nei confronti di Taiwan. Il segretario Nato ha infatti detto che “non c’è alcuna giustificazione per le minacce della Cina contro Taiwan”, allineandosi così completamente alla posizione degli Stati Uniti.

Duro colpo per Pechino

Tornando alle Filippine, è evidente che l’aumento delle basi militari utilizzabili dagli Usa costituisce un grave colpo per le mire espansionistiche di Pechino che, infatti, ha reagito furiosamente accusando come sempre l’Occidente di voler dar vita ad una nuova Guerra Fredda in Asia.

Ma i filippini non hanno mai dimenticato il famoso “Tornerò” pronunciato dal generale Douglas MacArthur nel 1942, quando fu costretto a lasciare Bataan e a rifugiarsi in Australia sotto la pressione delle truppe giapponesi.

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