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Perché la Nato guarda all'Asia

Se la Russia, “la più diretta e significativa minaccia per gli alleati”, è il nemico del presente, la Cina, etichettata per la prima volta come “sfida sistemica”, rischia di diventare lo spauracchio del futuro. Il nuovo Strategic Concept della Nato, partorito lo scorso luglio nel vertice di Madrid, ha tracciato le linee guida, stabilito le priorità e individuato le minacce principali dell’Alleanza atlantica. Che, in questo turbolento periodo storico, coincidono appunto con Mosca e Pechino. È in un contesto del genere che Jens Stoltenberg ha effettuato un tour asiatico, in programma dal 29 gennaio al primo febbraio.

Il Segretario generale della Nato è atteso in Corea del Sud e Giappone. Sarà a Seoul il 29 e 30 gennaio, dove incontrerà il ministro degli Esteri Park Jin, il ministro della Difesa nazionale Lee Jong Sup e altri alti funzionari sudcoreani. Terrà inoltre un discorso presso l’Istituto Chey e parteciperà a una cerimonia di deposizione di una corona di fiori presso il Cimitero nazionale. Da qui si sposterà a Tokyo, 30 gennaio e 1 febbraio, per un faccia a faccia con il primo ministro giapponese Fumio Kishida e un secondo intervento, questa volta alla Keio University.

Non è un caso che questi due Paesi asiatici, Corea del Sud e Giappone, assieme ad Australia e Nuova Zelanda, fossero presenti all’importante meeting Nato di Madrid, in estate, pur non essendo membri dell’Alleanza Atlantica. Da tempo l’organizzazione sta infatti cercando di riunire quanti più alleati possibili, anche al di fuori della propria cerchia istituzionale, nel tentativo di incrementare la pressione sulla Russia – attraverso condanne, sanzioni condivise e rifornimenti all’Ucraina – ma anche, in prospettiva, di arginare l’ascesa della Cina.

Per quest’ultimo scopo il campo di battaglia, al momento solo diplomatica, coincide con l’Asia o, meglio ancora, con l’Indo-Pacifico. Ecco perché Seoul e Tokyo, così come Canberra e Wellington, hanno trovato e troveranno sempre più spazio nei piani della Nato.



Stoltenberg in Corea del Sud e Giappone

Il viaggio di Stoltenberg in Estremo Oriente assume una rilevanza altamente strategica. Lo si capisce, tanto più, rileggendo alcune delle sue ultime dichiarazioni. Il Segretario della Nato ha affermato che la Russia non mostrerebbe segnali di preparazione alla pace e che si starebbe preparando ad una lunga guerra. “Per questo, è urgente intensificare ulteriormente il sostegno militare, in modo che l’Ucraina vinca e liberi il territorio occupato”, ha detto Stoltenberg, specificando che è necessario mandare più armi a Kiev.

Considerando che i governi europei, e gli Stati Uniti stessi, hanno progressivamente iniziato a chiudere i rubinetti dei rifornimenti, in parte perché le scorte di armi stanno effettivamente finendo, e in parte a causa di decisioni politiche (vedi il caso Germania con i tank Leopard), la Nato potrebbe pensare di sfruttare la carta asiatica.

La Corea del Sud, prima tappa della trasferta del segretario dell’Alleanza Atlantica, ha venduto alla Polonia miliardi e miliardi di dollari tra armamenti e attrezzature militari, che Varsavia ha immagazzinato in chiave anti Mosca. Come anticipato da InsideOver, le radici dell’accordo sulla vendita delle armi alla Polonia sono da ricercare nell’amministrazione democratica guidata dall’ex presidente Moon Jae In, che, durante il suo mandato, si è impegnato a rafforzare le industrie della difesa sudcoreane cercando di stipulare contratti esteri. Il successore, il conservatore Yoon Suk Yeol, sta continuando a promuovere queste esportazioni, che hanno letteralmente spiccato il volo in seguito al conflitto ucraino.

Il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, durante il vertice organizzato a Madrid il 30 giugno 2022. Foto: EPA/YONHAP SOUTH KOREA OUT.

Per Seoul si tratta di mero pragmatismo: la vendita delle armi serve per ricavare ingenti entrate e, al tempo stesso, ricevere il supporto necessario da Washington nel caso in cui le tensioni regionali con Corea del Sud, Cina e Giappone dovessero superare la linea rossa. Gli Stati Uniti e la Nato si aspettano però che Seoul mantenga le sanzioni contro la Russia e continui a fornire tutta l’assistenza necessaria.

A conferma del ruolo giocato dal governo sudcoreano, il New York Times ha scritto che, tra le armi consegnate all’Ucraina, gli Usa starebbero inviando a Kiev anche munizioni immagazzinate in Corea del Sud. È dunque probabile che Stoltenberg voglia definire i rapporti collaborativi con il partner asiatico.

Per quanto riguarda il Giappone, oltre agli stessi temi coreani, c’è la questione relativa al riarmo del Paese. La Nato, sempre più diffidente nei confronti della Cina, dovrebbe confermare il rafforzamento della cooperazione in materia di sicurezza nella regione indo-pacifica.

Lo scorso dicembre Tokyo ha rivisto tre documenti chiave per la Difesa, tra cui la Strategia di sicurezza nazionale, definendo la Cina come “la più grande sfida strategica” e chiarendo, per la prima volta, l’intenzione di voler acquisire capacità di contrattacco. Certo, in tutto questo va detto che Washington dovrà dimostrarsi abile nello smussare le profonde rivalità che separano Seoul e Tokyo.

L’importanza dell’Asia

Nel contesto della guerra in Ucraina, tanto per isolare Mosca quanto per convincere la Cina a far pressioni sul Cremlino, e ancor di più nel contenimento di Pechino, i Paesi asiatici sono insomma attori fondamentali per la Nato.

Per rafforzare il controllo sull’intero indo-pacifico, inoltre, l’Alleanza Atlantica potrà giocare di sponda con altre tre alleanze: il Quad, formata da Stati Uniti, Giappone, India e Australia, e l’Aukus, composta da Stati Uniti, Regno Unito e Australia, senza dimenticare il gruppo dei Five Eyes, un’alleanza di sorveglianza che comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti.

Al fine di tessere una ragnatela – al momento solo diplomatica – tanto anti cinese quanto anti russa, la Nato cercherà di proiettare la sua ombra sempre più distante dall’Europa e vicina all’Oriente. Lo stesso Stoltenberg, del resto, ha definito la partnership sino-russa, attiva anche in ambito militare, come una “sfida sistemica alla sicurezza globale”, annunciando supporto “ai partner dell’Asia-Pacifico” in virtù di “valori condivisi”.

La sfida dell’Occidente all’”amicizia senza limiti” di Russia e Cina passerà sempre di più da una stretta interdipendenza con i principali alleati statunitensi situati nell’Indo-Pacifico. Sia chiaro: quanto detto non significa che la Nato miri ad espandersi al punto di includere l’Asia nella sua zona di competenza. Evidenzia, semmai, come i 30 membri dell’Alleanza Atlantica siano preoccupati per le minacce alla sicurezza internazionale provenienti dall’Asia. Le stesse minacce che, dall’Estremo Oriente, si espandono in Europa e Nord America. In un mondo di missili a lungo raggio, operazioni informatiche e catene di approvvigionamento sempre più vulnerabili, i timori dei Paesi euro-atlantici sono ormai globali.

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