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Salta il summit a quattro di Mosca: cosa rivela il braccio di ferro tra Siria e Turchia

Nonostante l’impegno ucraino, la Russia ha da tempo intrapreso un piano per facilitare la gestione della situazione siriana favorendo la riconciliazione dei due alleati affacciati sul Mediterraneo, ma le resistenze di Ankara e Damasco sono così radicate che sfuggono al controllo di Mosca.

L’iniziativa si è concretizzata a fine dicembre scorso, quando i ministri della difesa di Turchia, Russia e Siria si sono incontrati al Cremlino per discutere una strategia antiterrorismo condivisa in Siria e hanno concordato di perseverare nello sforzo tripartito per assicurare stabilità alla regione.

Com’è saltato l’incontro

A marzo poi, come riportato da al Arabiya, l’Iran ha chiesto di unirsi ai negoziati. La Turchia ha reagito entusiasticamente, e il piano si è allargato a Teheran. “Quella di Astana è l’unica formazione ancora in vita che si interessa alla Siria. Stiamo pianificando un incontro tra i quattro ministri degli esteri” ha detto il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu in una conferenza stampa con il corrispettivo iraniano Amir-Abdollahian lo scorso 8 marzo. L’incontro previsto per il 16 marzo a Mosca tra i rappresentanti di Russia, Turchia, Siria e Iran avrebbe avuto natura preliminare, mentre la fase finale dell’iniziativa prevedeva un incontro tra i leader dei quattro Paesi. Il processo però è stato bruscamente interrotto e quell’incontro non è mai avvenuto.

La sera precedente al meeting dei ministri, il presidente siriano Bashar al-Assad si trovava già a Mosca per una visita ufficiale, e il riavvicinamento con la Turchia era un elemento sul tavolo nell’incontro con Vladimir Putin. In un’intervista rilasciata la sera stessa alla testata russa Sputnik, Assad si è detto pronto ad incontrare il capo di Stato turco “solo se la Turchia è pronta, esplicitamente e senza ambiguità, a ritirarsi completamente dal territorio siriano, a smettere di supportare il terrorismo e a restaurare la situazione precedente all’inizio della guerra in Siria”. Il quotidiano arabo Asharq al-Awsat riporta che da Ankara, i ministri di Esteri e Difesa hanno replicato che le truppe di stanza sulla frontiera sono lì per prevenire minacce alla sicurezza interna provenienti dal confine.

Le dichiarazioni dei ministri turchi non devono essere state sufficienti a rassicurare Damasco sull’apertura sincera al dialogo e il giorno seguente una comunicazione ufficiale affermava che l’incontro previsto per il giorno stesso era stato posposto “per ragioni tecniche”. Nessuna nuova data è stata annunciata. Difficile pensare che Assad abbia ritirato il rappresentante siriano dal meeting rischiando di imbarazzare il padrone di casa al Cremlino, al quale deve molto; è più probabile che Mosca abbia ritenuto che i tempi non fossero maturi per un accordo, e che per evitare un fallimento diplomatico esplicito abbia deciso di far saltare il tavolo.

Significati nascosti

In ogni caso, la disdetta del summit di Mosca pesa come un macigno sulla campagna elettorale di Recep Tayyip Erdogan, le cui scelte di policy sul confine meridionale sono state oggetto di dure critiche anche interne al suo partito. Nell’appuntamento alle urne tra meno di due mesi, le questioni legate a Damasco avranno un’influenza non trascurabile sulle scelte dell’elettorato: si tratta di temi sensibili come il piano per il ritorno dei rifugiati siriani e la gestione della sicurezza. È improbabile che Assad voglia fare un regalo elettorale a Erdogan siglando un accordo con lui. Piuttosto, il presidente siriano potrebbe attendere e ritentare un negoziato con l’opposizione turca, che ha buone chances di sconfiggere Erdogan (e fa campagna anche contro la policy siriana del presidente).

L’annullamento del meeting interrompe un momento molto positivo per la diplomazia di Assad. In seguito al terremoto che ha colpito la nazione a inizio febbraio, il presidente siriano è uscito dall’isolamento regionale e si è avvicinato prima agli Emirati Arabi Uniti e poi alla Giordania, e di recente una seconda visita ad Abu Dhabi ha segnalato la crescente apertura con i paesi arabi. Può ora sperare di recuperare il seggio della Siria nella Lega Araba, che si rifiuta di lasciare Damasco completamente in mano agli iraniani. La situazione nel Paese levantino rimane comunque molto complessa, e ulteriormente complicata dalla presenza di truppe americane nella base di al Tanf a supporto delle Syrian Democratic Forces (e in chiaro antagonismo con le forze iraniane e filo iraniane su suolo siriano). Supporto peraltro rinnovato di recente, quando la Camera dei rappresentanti ha votato contro alla proposta di ritiro delle truppe dalla Siria. Il governo di Damasco si è detto preoccupato per il supporto che gli americani danno ai curdi siriani e alle SDF, che rischia di incoraggiare movimenti centrifughi e mettere a repentaglio l’integrità territoriale siriana.

L’attuale postura di Assad, tenace e intransigente, si sposa male con la pressione elettorale a cui Erdogan è sottoposto in casa. Almeno per ora, questi sembrano essere i vettori principali su cui si gioca la normalizzazione tra i due Paesi, indirettamente ostacolata anche dalle diverse posizioni che Turchia e Iran hanno preso rispetto all’area a nord-ovest della Siria. Il Cremlino avrebbe tutto l’interesse a veder collaborare i due governi, ma non è detto che adesso abbia i mezzi per costringerli a farlo.

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