Roma, 2 febbraio – Nel film di Hayao Miyazaki del 2013Si alza il vento”, che riprende il titolo di una poesia di Paul Valéry (Le vent se léve), un ragazzino giapponese sogna di alzarsi in volo: è il desiderio antico dell’uomo che in lui si traduce nella volontà di poter progettare aerei, dargli forma, farli muovere insomma. I suoi sogni, nonostante la distanza, lo portano in contatto con Giovanni Battista Caproni e insieme al famoso pioniere dell’aviazione italiana inizia a tracciare la sua strada come un piccolo Dante con il suo Virgilio. Tutta fantasia, certo, ma Dio sa se abbiamo bisogno di poter parlare con i nostri eroi e tornare ad immaginare l’audacia, lo sforzo e il tentativo di cavalcare il vento come solo i più giovani possono fare.

Aerei, Giappone, sogni e vento che c’entrano con Berto Ricci? “Giovane è rimasto in morte, sull’invecchiare veloce di molti vivi“. La descrizione fatta di lui da Dino Garrone nel 1938 sembra uscita da un versetto del Bushido: quello in cui si dice che la vita di un uomo assume valore nell’istante in cui si confronta con la morte. Chi meglio di Ricci poteva essere raffigurato come un samurai, chi meglio di lui sapeva incarnare quello spirito eroico, giovanile, pionieristico, intransigente ed eretico su cui tanto aveva vergato parole e profuso sforzi? Nella bulimica produzione di prodotti sul Fascismo dell’Italia moderna, il nome del fiorentino morto in Cirenaica è spesso accantonato, se non volutamente oscurato: eppure ne avremmo bisogno di un esempio così, di un uomo di cultura ma soprattutto di azione che ha saputo, da samurai, affrontare la morte che giungeva dall’alto. Un aereo, appunto: uno spitfire inglese che lo falcia di netto. “Gli aeroplani sono un sogno splendido, ma maledetto”, dice il Caproni al termine del film. Un sogno, come quello che aveva Berto Ricci, un maledetto sogno di rivoluzione che voleva ridare alla mente Italiana “l’abito della vastità, l’amore e l’ardire, il dominio dei tempi e delle Nazioni“. Provate a ripetere queste parole pensando ad un vento che da lieve brezza arriva a riempire lo spazio crescendo d’intensità. Un sogno splendido, certo, ma maledetto come ogni missione che richiede sacrificio e costruzione, dedizione ed intransigenza, in primis verso sé stessi. Perchè ha senso parlare ancora di sogni, di Ricci, di quella “rivoluzione impossibile” che è stata gettata nel dimenticatoio per noncuranza e pigrizia? Proprio perchè non ne ha, in barba ad ogni buon senso e ad ogni legge di gravità. Perchè oggi abbiamo bisogno di folli ambizioni e di assurde visioni per alzarci in volo sopra una mediocrità che si è fatta sistema ed una prigione ideologica che piano piano si stringe intorno.

Un folle

Provate ad immaginare per un momento ai giornalisti di oggi: giornalai, piuttosto, uomini e donne che pensano a riempire caselle e scaffali con i propri libri. Saviano, Murgia, Berizzi, Parenzo… un libro all’anno. C’è addirittura Scurati che di mestiere vende libri, in cui – come direbbe Berto – “soffia sempre sulla stessa minestra”. Questo è il giornalismo mainstream all’italiana. Ma tranquilli, nemmeno la destra si salva: l’attitudine “giornalaia” si è diffusa a macchia d’olio ma nessuno sembra aver più niente di nuovo da dire se non giustificazioni, mentre il vento non si alza più come una “buriana” ma soffia pigramente su posizioni conservatrici e filosofeggianti. “Questo ci preme, questo vogliamo dire: questo nessuno può smentire, che gli eunuchi, i vili i pigliaschiaffi disonorano il fascismo, che i saggi in cappa magna lo inceppano, i noiosi teorici della tradizione gli fanno perdere tempo, gli adulatori lo avvelenano, i bruti spiritati dal gesto dittatorio e dagli occhi grifagni lo mettono in farsa, e l’Italia del popolo, l’Italia di Basso Porto e di via Toscanella, essa sola lo alimenta di vita, e questo non è classismo, non è bolscevismo, perché non importa essere nati in via Toscanella né starci. Quel che conta è saperci stare”. Strano come parole scritte quasi cento anni fa sembrino ancora tremendamente attuali. Strano come l’intellighenzia del nuovo governo assomigli proprio a queste categorie, dove un Ministro della Pubblica Istruzione tutto bacchettate e disciplina parla dell’Impero Romano come fosse un modello d’immigrazione, dove un Ministro della Cultura pensa di difendere la lingua italiana allontanandola dalla realtà, quella viva, quella che ad oggi è veramente invischiata con il declino delle società liberali e democratiche. O addirittura addita Dante come “fondatore del pensiero di destra“: al cimitero dei caduti d’oltremare qualcuno ha spaccato il suo loculo… Ecco, ora arriviamo al punto.

Bisogno d’aria

Il punto è che l’idea di Roma e il pensiero d’Italia Dantesco sono qualcosa di più di questo. Fa specie vedere come proprio su due delle più grandi idee-forza che hanno caratterizzato il corso della storia, questo governo si perde e si va ad impelagare in uno sciatto conformismo. Ma non ci sorprende, ma soprattutto non sono rivolte a loro queste parole. Siamo noi ad aver bisogno d’aria e di riportare ossigeno a quella rivoluzione impossibile che faceva tremare i polsi del nostro Berto Ricci ma soprattutto le zampe dei maiali, quelli di Washington e Mosca. Roma e Italia per lui non sono mai state medagliette da lustrare ma idee da afferrare, da fortemente volere, non come tiepida reazione all’offensiva del mondo liberale e progressista ma come intrepida rivoluzione per il quale tutto il resto avrebbe dovuto sbriciolarsi. Dobbiamo generare portanza sotto le nostre ali e “tentare di vivere”, “il faut tenter de vivre” è la seconda parte del verso di Valéry. “I buoni servi non sono degni di Roma, non gli immoti e i pigri, ma i liberi, gli inquieti, quelli che simili a praterie che inarca il vento delle folli ambizioni”. Quindi ai giovani l’invito ad essere inquieti e liberi, l’invito a riprendere in mano le parole d’ordine di Berto Ricci come un vento che può farci alzare da terra per ritrovare le stelle. Basta con Steve Jobs e con Steve Bannon, basta con Gramsci e con sua Santità il Papa. A noi destra e sinistra stanno strette e vogliamo di più. Come un ragazzino che sogna di volare. Me lo immagino lì Berto Ricci, insieme a Caproni, su una prateria verde mentre condividono il sogno: quello di un’Italia libera, forte e con le ali… nonostante tutto, nonostante le macerie di una guerra persa. Parlano, battibeccano magari, si animano a vicenda. In compagnia, si sa, “di un buon vino”.

Sergio Filacchioni

“I buoni servi non sono degni di Roma, non gli immoti e i pigri, ma i liberi, gli inquieti, quelli che simili a praterie che inarca il vento delle folli ambizioni”.

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