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Spuntano resti basilica civile unico monumento costruito da Vitruvio

Spuntano resti basilica civile unico monumento costruito da Vitruvio

di Elio Clero Bertoldi

Spuntano resti basilica – Cinque ambienti di epoca romana sono tornati alla luce, durante i lavori di restauro di una abitazione civile a Fano, in via Vitruvio, guarda tu il caso.  Le mura possenti – alte due metri e spesse un metro e mezzo (cioè cinque piedi romani) -, la pavimentazione ricercata, i frammenti di iscrizione (le lettere “V” e la “I”, disposte su due differenti livelli: o si tratta di numeri?) con la rubricatura (su cui, cioè si era passato uno strato di colore rosso), i marmi di importazione, oltre al particolare che il tutto si affaccia sui resti dell’antico foro, portano a ritenere che si possa trattare della basilica civile di cui Marco Vitruvio Pollione (Marcus Vitruvius Pollio) parla nel V libro del “De architettura”, attribuendosene il progetto e la costruzione.

L’elemento maggiormente caratterizzante di quella che ci si augura essere per davvero la basilica (vi si amministrava la giustizia) viene rappresentato dai marmi color verde cipollino e pavonazzetto (violaceo scuro) che lasciano ipotizzare il ricercato “marmor Caristum”, provieniente dall’isola Eubea della Grecia (tra le città di Styra e Karistos, dove insistono ancor oggi cave all’epoca di proprietà imperiale) e di “marmor Phrigyum”, che si trovava soprattutto nelle vicinanze di Iscehisar, in Turchia. Materiale particolarmente costoso, utilizzato soltanto da personalità di alto lignaggio e ricchi sfondati o per templi dedicati agli dei o, infine, per strutture pubbliche di rilevante importanza.

Fano, oggi città di 60mila abitanti, non solo si trovava lungo l’antica via Flaminia, che collegava Roma a Rimini (Ariminum), ma legava la sua fama alla “battaglia del Metauro del 217 a.C., in cui i romani, al comando di Marco Livio Salinatore e di Gaio Claudio Nerone, avevano battuto e ucciso Asdrubale Barca, che stava tentando di raggiungere il fratello Annibale nel sud della penisola, per rinforzare di elefanti e di uomini l’esercito cartaginese. Proprio a ricordo della prestigiosa, e provvidenziale, vittoria era stato edificato il “Fanum Fortunae” (il tempo della dea Fortuna) che aveva regalato il nome alla città, municipio della Roma repubblicana nel territorio Piceno, trasformata poi sotto l’imperatore Augusto in “Colonia Iulia Fanestris”.

Vitruvio Pollione, secondo gli storici, sarebbe nato intorno all’anno 80 a.C. ed avrebbe partecipato, al seguito di Caio Giulio Cesare, alla conquista della Gallia e della Britannia, quale ufficiale soprintendente delle macchine da guerra, il cui comando era stato affidato a Marco Vitruvio Mamurra – nessun legame parentale con l’architetto e scrittore, solo una omonimia – quale capo di tutti gli ingegneri militari (“praefectus fabrum”, dunque comandante del genio militare), un cavaliere romano diventato, grazie alla guerra, ricchissimo e che si era fatto costruire al Celio una villa completamente rivestita di marmi pregiati (come da fonti letterarie: lo scrive Cornelio Nepote, vissuto in quel periodo) e sulla costa laziale, in zona Formia, da dove proveniva la sua “gens”, una villa altrettanto faraonica con un affaccio sul mar Tirreno lungo un centinaio di metri per qualcosa come 2.000 mq di ambienti (i cui resti si possono ancora oggi ammirare) e nove ettari di terreno tutt’intorno.

uriosità storico-letteraria: Gaio Valerio Catullo – sì, proprio lui, l’esponente dei “neòteroi” (i poeti nuovi), l’amante inquieto della bizzosa, poco affidabile e spregiudicata, ma affascinante e bellissima Lesbia, al secolo Clodia – irride e sferza pesantemente l’arricchito Mamurra e la sua fiamma Ameania (definita dal brutto naso) con versi osceni e sboccati, tesi a far risaltare la scarsa virilità del soggetto ed una sua relazione omosessuale con lo stesso Giulio Cesare, e bollandolo, in aggiunta, come “il bancarottiere di Formia”. Da cosa fosse mosso l’odio, o comunque la forte antipatia del poeta veronese (morto a soli 30 anni) per l’ex generale – attaccato più volte nel suo “Liber” (meglio: “Catulli Veronensis Liber”) -, non risulta da alcuna fonte. Ma dai suoi epigrammi emerge come Catullo disprezzasse la politica e, in primis, gli amministratori corrotti.

Torniamo alla scoperta: gli archeologi, non solo marchigiani, non nascondono il loro entusiasmo: Fano ospita ancora rovine romane (mura, teatro, anfiteatro, parti del foro, e, giuntoci quasi nella sua completezza, l’arco di Augusto), ma recuperare vestigia della basilica dedicata ad Ottaviano Augusto (magnanimo con l’architetto: gli aveva concesso una pensione statale a riconoscimento della sua attività ingegneristica e letteraria) risulterebbe un significativo arricchimento per la città, per gli studiosi della romanità e per la cultura del nostro paese, vera miniera di arte e di storia.

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