Cari amici di Duc in altum, il Giovane Prete (che molti di voi ricorderanno per gli articoli inviati al blog in passato) è stato alla Messa esequiale per Benedetto XVI e qui ci racconta la sua esperienza. Il tempo passa per tutti e ora si firma “ex Giovane Prete”, ma la verve resta la stessa.
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dell’ex Giovane Prete
Caro Aldo Maria,
ti scrivo per condividere con te alcune brevi riflessioni che ho fatto ripensando alla giornata vissuta di persona in occasione dei funerali di papa Benedetto.
Innanzitutto sono rimasto piacevolmente colpito dal grande numero di sacerdoti, religiosi e religiose presenti. Ma non solo: la maggioranza osava portare perfino l’abito proprio, il segno più grande del nostro essere di Cristo! Sono assolutamente convinto che l’inizio della guarigione spirituale della nostra amata Chiesa non potrà che cominciare dal rendere visibile a noi stessi e agli altri la Persona alla quale apparteniamo. A rafforzarmi in questa mia convinzione è stata l’età media, piuttosto bassa, dei confratelli presenti, al punto che mi è sorta nel cuore la speranza, forte e sicura, che in quella piazza non ci fosse tanto il passato della Chiesa, quanto il suo futuro. Sono ancora convinto che in questo nostro mondo di disperati la Chiesa potrebbe tornare a essere una presenza significativa e salvifica a patto che si decidesse una buona volta ad abbandonare la paura del giudizio dei potenti per obbedire al comandamento di Gesù di andare e ammaestrare tutte le nazioni, insegnando a osservare tutto ciò che ci ha comandato. A tal proposito, mi è bastato osservare il cambiamento d’aria che si respirava girando per la città, semplicemente grazie a tutta quella presenza sacerdotale capace di restituire, per qualche ora, un po’ d’eternità alla nostra capitale.
L’altro aspetto che vorrei sottolineare è la percezione che quella piazza fosse davvero figlia di Benedetto: l’ho capito dal raccoglimento durante la liturgia, favorito dal canto gregoriano, ma soprattutto da un elemento che si potrà giudicare sciocco, ma che invece è molto significativo, ossia dall’imbarazzo finale nel concludere la celebrazione applaudendo. Infatti, da un lato avevamo tutti una gran voglia di battere le mani in segno di gratitudine per la persona che Benedetto è stata e per la ricchissima eredità che ci ha lasciato, ma dall’altro sapevamo che quel gesto forse non l’avrebbe poi così gradito, dato che “là, dove irrompe l’applauso per l’opera umana nella liturgia, si è di fronte a un segno sicuro che si è del tutto perduta l’essenza della liturgia e la si è sostituita con una sorta di intrattenimento a sfondo religioso”.
E così, assieme agli applausi, ci siamo tenuti dentro anche quel grido che qualcuno ha osato comunque pronunciare: quel “Santo subito” che ha spinto negli ultimi anni la Chiesa ad accelerare processi di canonizzazione che forse avrebbero dovuto seguire un iter più corretto e che rischiano nel tempo di creare non pochi imbarazzi.
Caro Aldo Maria, per quello che conta io sono personalmente convinto che Benedetto sia un santo e nelle preghiere non mancherò certo di chiedergli le grazie necessarie per il mio ministero, anche se mi viene da pensare maliziosamente che un po’ di Purgatorio potrebbe anche farselo, perché tra l’eredità che ci ha lasciato, oltre a meditazioni, omelie, interventi da incorniciare, c’è anche quella più pesante: Jorge Mario Bergoglio, la cui omelia, banale e impersonale, è stata la principale nota stonata in una giornata che comunque porteremo nel cuore.
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