una-bussola-nella-confusione-–-aldo-maria-valli

Una bussola nella confusione – Aldo Maria Valli

Cari amici di Duc in altum, ricevo da un sacerdote (il quale preferisce restare anonimo) questa riflessione che desidera fare un po’ di chiarezza in una panorama, quello della Chiesa cattolica, segnato da tanta confusione. Per quanto mi riguarda, lo ritengo un contributo utile per portare luce su alcune questioni che rischiano di ingarbugliarsi sempre di più e soprattutto di fare male ai nostri cervelli e alle nostre anime. Mi permetto solo di osservare (e ovviamente parlo sempre a titolo personalissimo) che, in questo quadro, esaminare criticamente il pensiero e l’insegnamento di Ratzinger-Benedetto XVI non significa “criticare un morto” e accanirsi in “attacchi postumi”. Ho nutrito grande affetto verso l’amato Benedetto XVI. Ma sviscerare oggi alcuni suoi aspetti problematici è necessario. E non per amore di polemica, ma per amore di verità. 

***

di Un sacerdote

Questioni scottanti

Cari fedeli, è con grande dolore che mi vedo costretto a tornare su un argomento del quale preferirei mille volte non dover più parlare, un discorso che desidero chiudere una volta per tutte. Ciononostante sento il dovere di un Pastore di mettere ancora una volta in guardia le pecorelle dai pericoli ai quali sono esposte.

a) Sede vacante?

In questi giorni, voi tutti avete potuto assistere – o direttamente o attraverso i mezzi di comunicazione – alle esequie del defunto papa Benedetto XVI. Anche in questo caso non sono mancate le polemiche. Certamente sarebbe stato opportuno che non solo nel nostro Paese, l’Italia, ma soprattutto nella Città del Vaticano si sottolineasse quella circostanza con il lutto pubblico. Non vogliamo tuttavia soffermarci su questo, onde non rinfocolare l’astio a partire da peccati di cui ognuno risponderà davanti a Dio. Dobbiamo piuttosto concentrarci sui pericoli che le nostre anime corrono in questo momento: c’è troppa confusione, ci sono troppe voci che parlano senza alcuna autorità né competenza. C’è chi arriva addirittura a dichiarare la sede vacante. Ora, questo non compete certo a qualche giornalista o a qualche sacerdote che si è posto fuori della Chiesa. Dichiarare la sede vacante senza averne l’autorità è qualcosa di talmente ridicolo che non esiste un termine appropriato; almeno, io non l’ho trovato.

Ci sono sicuramente delle anomalie nella rinuncia di Benedetto XVI, che fu annunciata l’11 febbraio 2013; anomalie talmente rilevanti che, nella propria coscienza, si possono nutrire legittimi dubbi. Non sta però a nessuno di noi dirimere la questione sul piano giuridico. Possiamo senz’altro rilevare il fatto che, nella dichiarazione dell’11 febbraio 2013, Benedetto XVI parlò di rinuncia al ministero anziché all’ufficio, cioè alla carica. Ora, l’oggetto della rinuncia è l’ufficio, il munus, non il ministero, che ne è l’esercizio; quindi c’è già una grossa anomalia nell’uso del termine, che non è quello che si sarebbe dovuto utilizzare. Bisogna rilevare anche il fatto che non esiste un atto di rinuncia. La rinuncia a un ufficio è un atto giuridico che deve essere scritto e firmato. Ora, nel caso di Benedetto XVI, questo atto non esiste: c’è soltanto la dichiarazione dell’intenzione di dimettersi. Ci sono poi tutte le altre anomalie che ben conosciamo, cioè il mantenimento del nome, dell’abito, dello stemma, nonché l’abitudine di impartire benedizioni apostoliche (cosa che compete solo al Papa regnante) e così via.

Non tocca di certo a noi giudicare le intenzioni di papa Benedetto, per il semplice fatto che non le conosciamo e non possiamo conoscerle: le conosce solo Dio; l’interessato, ormai, non può più spiegarci che cosa abbia inteso fare. Dobbiamo allora rimettere semplicemente la questione alla Provvidenza; è inutile affannarsi a voler trovare una soluzione a questo enigma, che rimane un enigma. Un giorno, se Dio vorrà, esso sarà risolto; in ogni caso, non spetta a noi, bensì toccherà a un altro Papa, se Dio vorrà. Mettiamoci dunque l’anima in pace una volta per tutte: attualmente c’è un Papa regnante; può piacere o non piacere, ma è così: chi, in questo momento, governa la Chiesa cattolica è papa Francesco. Con tutti i dubbi che uno può avere in coscienza, tuttavia nel foro esterno deve obbedirgli nelle cose lecite; nelle cose che ripugnano alla coscienza, siamo autorizzati a conservare una sana libertà di spirito, che non deve però portarci alla disobbedienza aperta, dato che il rifiuto dell’obbedienza al Romano Pontefice, nel Codice di diritto canonico, è definito scisma. Con il delitto di scisma ci si pone fuori della Chiesa: fuori della società visibile, ma anche fuori del Corpo Mistico. Dobbiamo quindi assolutamente evitare di incorrere in questa colpa, che sarebbe estremamente grave e pericolosa per la nostra salvezza eterna.

b) Attacchi postumi

D’altro canto, c’è chi ha rinfocolato vecchie polemiche di natura teologica e dottrinale contro il Papa defunto, il quale, evidentemente, non può più rispondere né dare spiegazioni. Ora, la domanda che sorge spontanea è: a che pro continuare a criticare un morto? L’unica risposta che riesco a trovare è che chi si è deliberatamente posto in uno stato di disobbedienza stabile e continuata deve trovare motivi per giustificarsi, continuando ad attaccare e criticare il Concilio Vaticano II, papa Giovanni Paolo II, papa Benedetto XVI e così via… ma, curiosamente, non papa Francesco. Già questo dovrebbe suggerirci che manca l’onestà intellettuale; il sospetto, più che legittimo, è che questi attacchi senza fine servano a giustificare una posizione irregolare che non è giustificabile. Una volta tolto, con il Motu Proprio Summorum Pontificum, il principale pretesto per protrarre la ribellione, rimangono solo gli aspetti dottrinali su cui accanirsi.

Tutto questo – vedete – appare molto meschino, poiché non ha rispetto nemmeno di qualcuno che è già passato davanti al giudizio di Dio e le cui intenzioni solo Dio può giudicare. Noi possiamo giudicare determinati atti, ma ricordando di essere semplici cristiani e di non poterci mettere al di sopra di tutti. Collocarsi al di sopra dell’autorità suprema pretendendo di emettere giudizi pubblici, sia pure privi di valore giuridico, rischia di essere un’espressione di superbia. In questi casi la presunzione si ammanta di buone ragioni, ma rimane presunzione. Ora noi, grazie a Dio, non abbiamo bisogno di giustificare una posizione irregolare, perché siamo nella Chiesa a tutti gli effetti e ci rimaniamo, pur soffrendo. Soffriamo però per la nostra Madre nello spirito, che è vilipesa, umiliata, calpestata, ma proprio per questo va amata ancora di più: va amata con il proprio martirio interiore, silenzioso. Chi vuol fare la volontà di Dio porta avanti il compito che il Signore gli ha affidato in modo fedele e disinteressato, senza pretendere di trascinare dietro a sé altre anime verso il burrone né di fare adepti o proseliti.

È ovvio che, senza certe polemiche, determinate organizzazioni andrebbero inevitabilmente verso l’estinzione, poiché non riuscirebbero più a convincere altre persone ad aggregarsi. Le polemiche servono dunque non soltanto a giustificare una posizione irregolare, ma anche ad attirare persone scontente, in modo che quell’organizzazione possa continuare ad esistere, senza appunto estinguersi. Neanche questo, tuttavia, sa di onestà intellettuale, perché il fine non è buono e l’intenzione non risulta retta. Tutto questo, semplicemente, non è cattolico: c’è una corazza esterna che sembra perfettamente cattolica, una corazza fatta di formule, sillogismi, precetti… tutta un’impalcatura che appare ineccepibile; sotto la corazza, però, non c’è un cattolico: c’è uno gnostico, cioè qualcuno convinto che la sua scienza – vera o presunta – lo ponga al di sopra dell’autorità. Si può essere tradizionalisti senza essere cattolici?

c) Rischio di frantumazione

La Chiesa non è questo: la Chiesa è apostolica, si regge cioè sul mandato che il Signore Gesù Cristo ha conferito a san Pietro e agli altri Apostoli e poi, attraverso di essi, ai loro successori, i Vescovi. Nella Chiesa, perciò, si sta in virtù della fede, del Battesimo e della comunione gerarchica; non è la scienza che ci rende membri della Chiesa e tantomeno buoni cristiani, ma, al contrario, l’umiltà e la carità. «La scienza gonfia – afferma san Paolo –, la carità edifica» (1 Cor 8, 2). La scienza (o una pretesa scienza che si è convinti di possedere) porta un cattolico a diventare uno gnostico, ovvero a pensare che tutto dipenda dalle sue conoscenze; uno gnostico, però, è qualcuno che non crede veramente in Dio, bensì nelle proprie idee; qualcuno che pretende di piegare la realtà alle conclusioni dei suoi ragionamenti. Ciò comporta almeno due inconvenienti. Il primo è che si perde di vista la realtà e si rimane accecati; la realtà, infatti, non è il risultato di un ragionamento, ma è già qui e precede qualunque ragionamento. L’altro è che ognuno arriva alle sue conclusioni; in questo modo l’unità della Chiesa si frantuma: ognuno pretende di far coincidere la realtà con la sua idea e che gli altri aderiscano ad essa.

Il rischio, allora, non è semplicemente quello di uno scisma tra conservatori e progressisti. Questa non è l’eventualità peggiore; sarebbe certamente un fatto gravissimo, ma mi sembra poco probabile. Il rischio è che di fatto, anche senza scismi dichiarati, i cattolici – soprattutto quelli che finora si sono sforzati di rimanere fedeli al Signore e alla verità – si disperdano in mille rivoli, dividendosi dietro falsi maestri che pretendono di farsi seguire dagli altri. Ciò sarebbe molto peggio di uno scisma, poiché sarebbe una vera e propria frantumazione della Chiesa. Allora, dato che l’artefice di ogni divisione è il diavolo, facciamo attenzione a non collaborare con lui, seppure inconsapevolmente: non lasciamoci sedurre da ragioni apparentemente buone, da argomentazioni apparentemente ineccepibili, che sono però completamente cieche di fronte a difetti enormi che possono essere individuati anche dal semplice buon senso.

Se il risultato è la divisione; se il risultato è la ribellione; se il risultato è la disobbedienza, l’origine non può essere buona. Ogni albero si giudica dai frutti: se i frutti sono cattivi, l’albero è cattivo (cf. Mt 7, 17). Il vero cattolico, invece, vive radicato nella carità (cf. Ef 3, 17); per poter vivere radicato nella carità, deve coltivare una grande umiltà, un’umiltà che diventi di giorno in giorno più profonda. Il cattolico riconosce di essere un nulla, di non avere niente che non gli venga da Dio; perciò non attribuisce nulla a se stesso e non pretende di ergersi a giudice né di dirimere questioni che non sono di sua competenza.

Aborriamo allora tutto questo mondo che si agita, che schiamazza, che cerca di attirare gli incauti verso il precipizio. Teniamoci ben lontani dalle polemiche; concentriamoci piuttosto ognuno sulla propria santificazione personale, giacché è la sola santificazione personale che ci unisce a Gesù Cristo e tra di noi. Chi si santifica realmente crea comunione attorno a sé, non divisione; non ci può essere santità laddove ci sia confusione, arroganza e spirito di contesa. San Paolo ci dice in modo molto chiaro: «Voi non siete nella carne, ma nello spirito» (Rm 8, 9); vale a dire: «Voi non vivete nella modalità dell’uomo peccatore, secondo lo spirito mondano, bensì nella modalità dell’uomo redento, inabitato dallo Spirito Santo».

Allontanatevi dunque da coloro che continuano a vivere nella carne, pur fregiandosi del titolo di cattolici: a giudicare dai frutti, è soltanto un nome, poiché di cattolico, nel loro comportamento, c’è ben poco. Ringraziamo il Signore per questa grazia immensa di essere nella Chiesa, di avere una fede viva, di aver attraversato incolumi tutta una serie di prove… e – per favore – evitiamo tutto ciò che potrebbe mettere in pericolo la nostra unione con Gesù Cristo e la nostra appartenenza alla Chiesa. Sono due cose assolutamente inscindibili.

Difetti da evitare

Alcune delle cause della confusione in cui ci troviamo oggi sono dovute proprio ad alcuni difetti del movimento tradizionalista, del suo modo di insegnare e di proporre la verità rivelata.

a) Fondamentalismo magisteriale

Un primo difetto è l’esagerazione del ruolo del Magistero pontificio: si pensa cioè – o almeno si parla – come se l’insegnamento del Papa avesse sempre un grado di infallibilità assoluta, senza alcuna sfumatura, un grado tale da rendere ogni suo pronunciamento assolutamente indiscutibile. Ora, questo atteggiamento deriva da una ricezione scorretta del Concilio Vaticano I, in particolare del dogma dell’infallibilità. La Costituzione apostolica Pastor aeternus, nel definire questo dogma, stabilisce criteri molto precisi: il Papa è infallibile quando parla come supremo Pastore e Dottore di tutti i cristiani con l’intenzione di definire una volta per sempre questioni attinenti alla dottrina di fede o di morale; tutto ciò si deve poi evincere in modo inequivocabile dal linguaggio usato.

Nell’insegnamento del Papa c’è però tutta una gradazione di importanza dei pronunciamenti e, di conseguenza, anche di obbligo per la coscienza dei fedeli nel prestare il proprio assenso. Il Magistero infallibile è Magistero straordinario, che viene esercitato in occasioni molto rare; l’ultima risale al 1° novembre 1950, quando papa Pio XII definì il dogma dell’Assunzione. In questo caso è richiesto un assenso di fede, poiché nella definizione dogmatica il Papa stabilisce che una determinata dottrina è verità rivelata da Dio; chi la rifiuta, perciò, rigetta la fede e si pone fuori della Chiesa.

Normalmente, però, il Papa esercita il Magistero ordinario, che non è infallibile e non richiede pertanto un assenso di fede, ma un religioso ossequio. Ciò non significa, evidentemente, che esso possa esser sottovalutato o preso alla leggera, bensì che occorre distinguere: non possiamo regolarci come se, ogni volta che il Papa apre bocca e proferisce parola, quel che dice impegnasse la nostra coscienza in modo assoluto. Le interviste, poi, non rientrano affatto nel Magistero, ma esprimono le opinioni del Papa come persona privata.

Religioso ossequio significa riconoscere che il Papa sta sì parlando in virtù della sua autorità di supremo Pastore di tutta la Chiesa, non però per definire una verità rivelata, bensì per applicare a situazioni contingenti verità già definite. Ciò che dice, di conseguenza, non può essere ignorato o accantonato, ma va ascoltato e preso sul serio; questo non implica tuttavia che tutto ciò che dice sia infallibile e che non ci possa mai essere il minimo scarto. Certamente è auspicabile che non ci siano oscillazioni, ma non possiamo neanche pensare che l’assistenza dello Spirito Santo legata all’ufficio di Sommo Pontefice sia tale da annullare completamente la sua umanità. Ogni Papa, evidentemente, è vissuto in un dato contesto storico e culturale, ha ricevuto una determinata formazione teologica, ha sviluppato anche riflessioni proprie.

Questo non è un cedimento allo storicismo o al relativismo, ma un riconoscimento realistico del fatto che anche i Papi, come ogni cristiano, vivono nel tempo, nella storia. Noi non siamo nell’eternità, non siamo ancora in Paradiso; dato che viviamo nel tempo, subiamo dei condizionamenti. L’assistenza dello Spirito Santo non annulla completamente questo lato umano; se crediamo questo, sviluppiamo un’ecclesiologia per così dire monofisita, per fare un’analogia: pensiamo cioè che nella Chiesa tutto sia divino e che l’elemento divino annulli quello umano. Non è così: pensare questo non è cattolico; perciò dobbiamo accettare con serenità che storicamente, su aspetti non essenziali, possano esserci a volte delle oscillazioni che, sul momento, possono causare smarrimento e disorientamento, ma che, con il passare del tempo, saranno riassorbite. Altrimenti si crea un problema insolubile: ogniqualvolta c’è un piccolo scarto nel Magistero pontificio, non si sa come risolvere il dilemma dal punto di vista teologico. Allora c’è chi dice che, in realtà, il Papa non è Papa, oppure che in quel momento non era assistito dallo Spirito Santo, oppure altre assurdità del genere. Il fatto è che questa visione assolutistica del Magistero pontificio ci porta inevitabilmente in un vicolo cieco.

Naturalmente è opportuno che il Papa parli e scriva solo quando è davvero indispensabile (anche perché l’inflazione svaluta perfino le monete più forti), che i suoi discorsi non richiedano ulteriori spiegazioni e che ogni suo testo sia rigorosamente vagliato dal teologo della Casa Pontificia, che in passato era scelto fra i professori più sicuri e qualificati. Ciò riduceva l’influenza soggettiva del pensiero che il Papa aveva come uomo, garantendo così che i suoi pronunciamenti fossero in perfetta continuità con l’insegnamento perenne della Chiesa e riducendo al minimo le possibilità di scostamento. Non è bene, viceversa, che il Papa parli a braccio (visto che tutto o quasi sarà pubblicato negli Acta Apostolicae Sedis), oppure che si lasci andare a confidenze personali, che rischiano di attenuare la percezione della sacralità del suo ruolo. Ancor più sconveniente è che altri riferiscano episodi riservati o conversazioni private, specie se il Papa è defunto.

b) Manicheismo pseudocattolico

Un altro difetto che si riscontra spesso nell’ambiente tradizionalista – e che risente di una carente considerazione della dimensione storica – è l’abitudine di giudicare cose, fatti e persone secondo uno schema binario: le cose sono o totalmente bianche o totalmente nere; non ci sono sfumature intermedie. O uno è santo al massimo livello, assolutamente perfetto, o è il peggiore eretico della storia. Anche questo è qualcosa di profondamente erroneo. La realtà umana non è la realtà divina: Dio – e Dio solo – è assolutamente semplice; la realtà umana, invece, è complessa. L’uomo, in quanto creatura che vive nel tempo (creatura composta oltretutto di materia e di spirito), è un essere complesso; anche la storia degli individui, dei popoli e della Chiesa stessa è un fenomeno complesso.

Pretendere di classificare i fatti e le persone in modo binario è un’inaccettabile semplificazione; è contrario alla ragione. Non possiamo inserire i fatti e le persone in due categorie completamente contrapposte, ma dobbiamo anche qui accettare la fatica di considerare la realtà esaminando il bene e il male, che nella vita delle persone – e anche in quella della Chiesa terrena – sono sempre mescolati. Sì, ci sono certo i Santi, ma anche i Santi si sono santificati gradualmente, poco alla volta; non sono arrivati immediatamente al culmine della santità. Soltanto una persona è stata immacolata fin dal concepimento; tutti gli altri si sono dovuti santificare. Evitiamo allora di cadere in questa dicotomia, in questa visione manichea che non è cattolica. Il manicheismo è una forma di gnosi: da una parte c’è il bene assoluto, dall’altra il male assoluto.

È ovvio che, quando giudichiamo le azioni, dobbiamo riconoscere che, se un’azione è cattiva per essenza, rimane cattiva; se un’azione è buona per essenza, rimane in se stessa buona. Un fine buono non può trasformare un atto cattivo in un atto buono; viceversa un atto buono, compiuto con un’intenzione cattiva, viene pervertito: sarà materialmente buono, ma non formalmente buono. Al di là di questo, tuttavia, dato che la vita delle persone, dei popoli e della Chiesa è un intreccio di avvenimenti, di cause e concause, non possiamo pretendere di applicare al tutto lo stesso schema che applichiamo ai singoli atti. Dobbiamo perciò riconoscere tale intreccio e avere la pazienza di districare il bene dal male; altrimenti – ripeto – diventiamo manichei.

Nell’ambiente tradizionalista, purtroppo, c’è molto manicheismo. Anche qui, però, si finisce in un vicolo cieco: a forza di voler cercare qualcosa o qualcuno che sia assolutamente perfetto, si finisce con l’escludere tutti. Alla fine non rimane più nessuno, poiché non c’è nessuno che corrisponda perfettamente ai criteri che si sono stabiliti in partenza; alla fine ci si ritrova nella solitudine più assoluta. Ciò è contrario al modo e al fine dell’agire di Dio, il quale, volendo la salvezza di tutti, non costringe gli uomini in una camicia di forza, ma va a cercare ognuno là dove si trova, lo prende per mano e, se accetta, lo conduce gradualmente verso la pienezza della verità e della grazia.

c) Rifiuto della croce

Un altro difetto ancora è quello che spinge i tradizionalisti a evitare, come già accennato, la fatica di vivere nel tempo, di discernere il bene dal male e di portare la croce. Molti cattolici si rifiutano di portarla; quindi, nel momento in cui si presenta una difficoltà, decidono di andarsene, di fare parte a sé, di crearsi una “Chiesa” – se così si può dire – parallela, dove tutto va apparentemente bene e tutto è apparentemente perfetto. Ovviamente è un’illusione, giacché il peccato lo portiamo dentro di noi; tale perfezione, sulla terra, non è possibile. Dobbiamo ripetere ancora una volta che non siamo ancora in Paradiso; ognuno di noi porta in sé gli effetti del peccato originale e di tutti i suoi peccati personali. Allora dov’è la soluzione? Nella santificazione personale, in questo sforzo umile, diuturno, perseverante di santificarsi, accettando la sofferenza, la lotta, le opposizioni; in una parola, accettando di portare la croce dietro il Signore Gesù, piuttosto che ribellarsi e separarsi da Lui con il pretesto di servirlo in modo più perfetto.

Che il Signore ci preservi o ci purifichi, a seconda dei casi, da questi difetti e stenda su di noi la Sua mano misericordiosa per allontanare le tentazioni peggiori, che sono quelle contro la carità.

Sia lodato Gesù Cristo!

Related Posts

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *