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Cerignolani e garganici insieme per il “colpo della vita”. Carcere confermato ai “big” della banda ma non c'è mafia – l'Immediato

Si è conclusa la fase cautelare relativa alla maxi operazione contro il gruppo criminale che assaltò il caveau della società “Vedetta 2 Mondialpol” nel Bresciano. Niente aggravante mafiosa per gli indagati; nelle scorse ore, infatti, la Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale del Riesame rigettando il ricorso della procura di Brescia. Inoltre, la Suprema Corte ha respinto i ricorsi di alcuni degli arrestati, confermando il carcere per Raffaele Russo detto “Lele”, Antonio Renzulli detto “U’ sicilien”, Giancarlo Lombardi e Francesco Gaeta, tutti della provincia di Foggia. Per loro c’è anche la condanna alle spese processuali.

“Nel piano criminoso – si legge nella sentenza della Cassazione – sono coinvolti Giuliano Franzè e Tommaso Morra, che – secondo l’ipotesi d’accusa – sarebbero affiliati -rispettivamente – alla cosca Pelle-Vottari di San Luca, in Calabria e alla cosca Piarulli-Ferraro e Di Tommaso di Cerignola in Puglia. Al contempo, però, si ritiene che la loro compartecipazione al delitto non sia sufficiente a far ritenere configurata l’aggravante agevolatrice, in mancanza di ulteriori elementi”.

Stando all’impianto accusatorio, l’assalto al caveau sarebbe stato organizzato da esponenti della malavita calabrese e pugliese. Per la provincia di Foggia spiccano i nomi di alcuni manfredoniani, cerignolani e lucerini.

Il gruppo venne sgominato nel marzo 2022 attraverso una raffica di arresti, ben 31. Per l’accusa c’erano a capo i cerignolani Tommaso Morra e Giuseppe Iaculli mentre il calabrese Giuliano Franzè avrebbe fatto da gancio in Lombardia. Era tutto pronto per il “colpo della vita”, ma il commando non aveva fatto i conti con Arma dei Carabinieri e Polizia di Stato che fecero irruzione nel quartier generale dei criminali sventando il colpo.

Nel mirino di Morra e soci c’era il caveau dell’istituto di vigilanza Mondialpol con all’interno un bottino da sogno: 8 milioni di euro. Sugli arrestati gravano accuse pesantissime: associazione per delinquere finalizzata alla rapina, tentata rapina pluriaggravata, detenzione di armi da guerra e ricettazione. Caduta in Cassazione, come detto, l’aggravante del metodo mafioso.

Russo, Renzulli e il contatto con il clan Lombardi-Scirpoli 

I nomi di Russo e Renzulli non sono affatto nuovi alle cronache. I due sono sospettati dagli inquirenti di gravitare nel mondo della malavita organizzata del Gargano. Il 14 aprile 2020, infatti, vennero sorpresi in un casolare di Apricena in compagnia dei latitanti Francesco Scirpoli detto “Il lungo”, Angelo BonsantoPietro La Torre detto “U’ Muntaner”, i primi due evasi il 9 marzo precedente dal carcere di Foggia, il terzo ricercato da circa 18 mesi. Con loro c’era anche Michele Lombardi alias “U’ Cumparill”, figlio del boss Matteo. Secondo gli inquirenti, era in corso un summit mafioso per ristabilire gli assetti del clan Lombardi-Scirpoli, attivo tra Manfredonia, Mattinata e Vieste. Quel giorno vennero fermati anche il 56enne di San Marco in Lamis, Antonio Radatti, proprietario della dimora e Pietro De Lia.

A proposito di rapine a blindati e caveau, Scirpoli e La Torre sono tuttora a processo per il tentato assalto ad un portavalori sulla SS89 (operazione “Ariete”), mentre il solo Scirpoli è stato condannato in via definitiva ad oltre 8 anni di carcere per il colpo ai danni della società di trasporti “Ferrari” a Bollate in provincia di Milano. Mettere a ferro e fuoco le strade italiane è ormai una “specialità” del clan in questione.

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