Le dichiarazioni del Ros e le testimonianze di un medico della struttura sanitaria
Antonio Lamorte — 16 Gennaio 2023
È stato accolto dagli applausi l’arresto di Matteo Messina Denaro. Gli applausi dei presenti, dei palermitani nei pressi della clinica La Maddalena nel quartiere San Lorenzo e dai “bravi, bravi!”, le urla di incoraggiamento di decine di pazienti e familiari riportate dall’Ansa. Era considerato l’ultimo dei corleonesi, anche se capomafia figlio del capomafia Ciccio di Castelvetrano, in provincia di Trapani, latitante considerato tra i più pericolosi al mondo da trent’anni, in cima alla lista dei ricercati italiani, sparito da una vacanza a Forte dei Marmi nell’estate del 1993 dopo la quale fece perdere ogni traccia. Non era mai stato in carcere: neanche in gioventù.
La notizia era esplosa in mattinata: “Oggi 16 gennaio 2023 i Carabinieri del Ros, del Gis e dei comandi territoriali della Regione Sicilia nell’ambito delle indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Palermo hanno tratto in arresto il latitante Matteo Messina Denaro all’interno di una struttura sanitaria a Palermo dove si era recato per sottoporsi a terapie cliniche“, le parole all’Agi del generale di divisione Pasquale Angelosanto, comandante dei Ros. Anche versioni discordanti sull’operazione. L’operazione di arresto è stata messa in atto dagli uomini del raggruppamento speciale del Ros assieme a quelli del Gis e dei comandi territoriali della Legione Sicilia. Il blitz è scattato intorno alle 9 con tutti i militari a volto coperto. L’area è stata sigillata con carabinieri ad ogni uscita della struttura. Secondo le prime versioni non avrebbe opposto resistenza ai militari ma “il dispositivo era in grado di poter fronteggiare qualsiasi emergenza anche per le persone presenti nella clinica”. È stato fatto salire su un furgone nero, trasferito dalla caserma San Lorenzo ed è diretto all’aeroporto di Boccadifalco per essere portato in una struttura carceraria di massima sicurezza.
Secondo SkyTg24 è stato arrestato mentre faceva colazione, in un bar nel quartiere San Lorenzo, nei pressi della nota clinica. L’Agi ha invece appreso da ambienti della clinica che Messina Denaro soffriva di tumore al colon e aveva metastasi epatiche per cui si sottoponeva a cicli periodici di trattamenti chemioterapici: il cognome che avrebbe utilizzato era quello di Bonafede. Presso la stessa clinica sarebbe stato operato. La stessa clinica ha aggiunto che il latitante avrebbe tentato la fuga e che era riuscito ad allontanarsi ancora una volta ma arrivato in un bar è stato infine catturato.
Secondo la testimonianza di un medico – che preferisce restare anonimo – raccolta sempre dall’agenzia Agi Messina Denaro era in cura da un paio di anni o almeno uno. Si sarebbe recato nella clinica per fare un tampone anti-covid dovendo essere ricoverato in day hospital. “Frequentava la clinica – dice il medico – ed era stato operato in Chirurgia, ora veniva seguito in Oncologia. Stamattina alle 6 non c’era nulla, poi i miei collaboratori mi hanno chiamato: ci sono i Ros, mi hanno detto, e si è presentato un militare in assetto di guerra, stiamo cercando una persona, mi ha detto, stia tranquillo. In ogni piano c’era uno di loro, dei carabinieri in assetto di guerra, lui è scappato, è andato fuori al bar e lo hanno preso. Ha tentato la fuga al bar e c’è stato molto trambusto. Era seguito in chirurgia dove è stato operato e oncologia, era venuto qua per un tampone stamattina e poi per seguire i trattamenti con un altro nome, era un paziente noto alla clinica, ha fatto anche dei trattamenti. Un anno sicuramente per il day hospital. Ma non avevamo alcuna idea di chi fosse, figuriamoci se potevamo saperlo o riconoscerlo“.
60 anni, detto “u’siccu”, definito la “Primula Rossa” della Mafia siciliana, era il primo nella lista dei ricercati in Italia. Il padre Ciccio era stato storico alleato dei corleonesi di Totò Riina. Era sparito nel nulla nel 1993, quando esplosero le bombe della Mafia a Milano, Firenze e Roma. Le sue tracce si persero dopo una vacanza a Forte dei Marmi con i fratelli Graviano. Era ricercato anche all’estero per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto. Condannato per decine di omicidi tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia. E per gli attentati del 1992 che uccisero i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Messina Denaro era stato avvistato centinaia di volte, nei luoghi e nei Paesi più disparati. Gli investigatori avrebbero in mano una sola immagine recente del boss, sfocata, risalente al 2009 e registrata da una telecamera nell’agrigentino. Per la Direzione Investigativa Antimafia restava una “figura criminale carismatica della mafia trapanese”. Diverse testimonianze e versioni avevano ipotizzato la sua permanenza in Sicilia, da latitante. L’arresto dell’ultimo super boss di Cosa Nostra arriva a trent’anni e un giorno esatti dall’arresto di Totò Riina.
Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
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