Il giorno della verità per l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump è arrivato davanti a quello che ha definito una “Kangaroo court“, l’espressione anglosassone per definire un tribunale illegale. Nella Grande Mela il tycoon in corsa per la Casa Bianca ha conosciuto le accuse specifiche a suo carico. “Un giorno tragico per la nostra repubblica”, ha scritto in una mail ai suoi sostenitori, in vista dell’udienza per la sua incriminazione. Fallito il tentativo di spettacolarizzazione della consegna alle autorità: né manette tantomeno foto segnaletiche all’arrivo in tribunale.
“Non colpevole”
In un’affollata aula del tribunale di Manhattan, Donald Trump si è dichiarato “non colpevole” per tutti i 34 capi di imputazione che gli sono stati contestati nell’atto di incriminazione. Le accuse sono di aver falsificato i registri della società e partecipato ad un complotto per versare denaro in cambio del silenzio a due donne alla fine della sua campagna elettorale del 2016. Tra i 34 capi di imputazione anche i soldi pagati per comprare durante la campagna presidenziale del 2016 il silenzio di un’altra donna con cui aveva avuto un affaire nello stesso periodo della pornostar Stormy Daniels: l’ex coniglietta di Playboy Karen McDougal.
Ci si aspettava che almeno una di queste 34 accuse fosse considerata felony: nello Stato di New York, la frode può essere considerata tale – un crimine più grave – se la condotta menzognera è stata tenuta con l’intento di nascondere o commettere un altro crimine. La maggior parte dei segnali indicava si trattasse della la violazione delle regole sul finanziamento della campagna elettorale: a ciò si aggiunge il fatto che l’avvocato Michael Cohen è già stato condannato per aver infranto le regole sul finanziamento della campagna elettorale ed evasione fiscale in relazione al pagamento. La maggior parte dei casi di frode criminale comporta un massimo di circa cinque anni di carcere, sebbene sia comune che i detenuti vengano condannati alla sola libertà vigilata o a una multa. Le accuse contro Trump sono state tutte classificate come reati di classe E, la categoria più bassa di reati criminali a New York che comportano una pena detentiva massima di quattro anni. Secondo la legge di New York, la falsificazione dei documenti aziendali è generalmente un reato. Ma i pubblici ministeri possono intensificare l’accusa quando ritengono che una persona abbia falsificato documenti aziendali per commettere un altro crimine o nascondere la commissione di un crimine.
Cosa accade adesso
Essendosi dichiarato “non colpevole”, Trump ora dovrà affrontare il processo (che potrebbe cominciare nel gennaio 2024) alla fine del quale l’ex presidente verrà dichiarato colpevole o meno: nel primo caso verrà comminata la pena principale e le eventuali accessorie. Juan Merchan è il giudice della Corte Suprema di New York da oggi presiederà il suo processo per il caso Stormy Daniels che passerà alla storia come “People of the State of New York against Donald J. Trump, Indictment No. 71543-23“. In effetti, non è la prima volta che Trump incontra nel suo cammino il giudice, nato 60 anni fa in Colombia e migrato a 6 anni a New York dove è stato il primo della famiglia ad andare all’università, lavorando per potersi pagare gli studi. Merchan nei mesi scorsi ha condannato Allen Weisselberg, amico di Trump e Cfo della sua società, nell’ambito di un processo per frode fiscale della Trump Organization. E ha presieduto il processo di un altro caro amico e consigliere dell’ex presidente, Steven Bannon, accusato di aver frodato i tanti che avevano versato soldi al suo fondo per finanziare il “Muro di Trump”.
Joe Biden “ignora” il processo
Il caso Trump non potrà non influenzare la Casa Bianca alle prese con un numero infinito di dossier ma soprattutto con il doppio registro della campagna elettorale. Per il momento, il presidente Joe Biden gioca a ignorare il suo predecessore: l’udienza di incriminazione di Donald Trump a New York “non è una priorità” per il presidente. Lo ha affermato la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre: in un briefing con la stampa ribadendo che il presidente ha appreso la notizia dell’incriminazione del tycoon “come tutti noi dai media” e non aveva ricevuto nessuna anticipazione dal dipartimento di Giustizia. Il presidente è volato lunedì a Minneapolis: la Casa Bianca di Biden, che ha evitato il coinvolgimento nello spettacolo legale che circonda Trump, spera di trasformare il momento dello schermo diviso in un’opportunità per mostrare i risultati del presidente e un’amministrazione relativamente priva di drammi.
I problemi di ordine pubblico e la battaglia nel Gop
L’intero sistema giuridico americano, nel frattempo, cercherà di evitare qualsiasi dettaglio che possa galvanizzare i sostenitori (il trauma di Capitol Hill è ancora vivo) o scatenare l’ira dei detrattori. Ma sarà davvero complesso mantenere lo status quo mentre il processo (e la campagna elettorale) andrà avanti. La battaglia, adesso, non è solo in tribunale. Mentre il processo andrà avanti, anche lotta fra i Repubblicani si accende: “Quando vedete sui vostri schermi tv i Rino (Republican In Name Only) Karl Rove, Bill Barr o Paul Ryan cambiate canale o chiudete, è meglio guardare i democratici”.
Trump ha dichiarato guerra rispettivamente l’ex stratega repubblicano, l’ex ministro della giustizia e l’ex speaker della Camera, tutti critici nei suoi confronti. Il tycoon se la prende in particolare con Fox per continuare ad ospitare Barr, accusandolo di non aver investigato sulle frodi elettorali perché “pietrificato” dalla paura di essere messo sotto impeachment. Il suo ex attorney general, pur criticando l’incriminazione, ha bollato Trump come privo di self control. Sarà interessante osservare, da qui in poi, le dinamiche all’interno del Gop: continuerà la difesa corporativa dei (presunti) compagni di sfida alle primarie o l’intero partito si allineerà con le decisioni della Corte? Come per ora conferma anche l’ultimo sondaggio Reuters/Ipsos, in cui Trump sale tra i repubblicani dal 44% al 48% mentre il suo principale rivale potenziale, il governatore della Florida Ron DeSantis, scende dal 30% al 19%. Resta comunque l’incognita delle altre inchieste, ben più gravi, che lo incalzano. Ma Trump è deciso a cavalcare la “persecuzione giudiziaria”, trascinando con sé il partito, costretto per ora a fare quadrato.
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