Nella votazione tenuta lo scorso 23 febbraio all’Onu, vigilia del primo anniversario dell’inizio della guerra, i Paesi che hanno votato contro la risoluzione di condanna per l’azione russa in Ucraina sono stati sette. Oltre alla stessa Russia ovviamente, nella lista ci sono Paesi molto vicini a Mosca. Quali, tra tutti, Bielorussia e Siria, i principali alleati internazionali del Cremlino. C’è poi la Corea del Nord, con Pyongyang sospettata nei mesi scorsi di aver girato munizioni ai russi, anche se il governo di Kim Jong Un ha sempre smentito. A votare No sono stati inoltre Nicaragua ed Eritrea, Paesi lontani dalle dinamiche in Ucraina ma già schieratisi a favore di Mosca nelle precedenti votazioni sul tema.
La vera novità è stata rappresentata invece dal Mali. Bamako, astenuta negli ultimi mesi quando all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si è parlato di Ucraina, si è apertamente schierata con la Russia. Un elemento non secondario nel contesto internazionale attuale, considerando la posizione strategica del Paese africano sia in ambito politico che puramente geografico. Il voto del Mali potrebbe aver definitivamente aperto una “breccia” moscovita in un’area, quella del Sahel, tradizionalmente vicina agli interessi francesi.
Perché il voto di Bamako non sorprende
É bene però fare una premessa. La scelta di campo del Mali ha rappresentato una novità, ma non una sorpresa. Già da anni il Paese africano ha avviato un lento ma costante percorso di avvicinamento alla Russia. Almeno da quando, all’interno dell’opinione pubblica e dell’apparato militare, ha iniziato a montare un forte sentimento anti francese.
Eppure fino all’inizio dello scorso decennio la vicinanza tra Bamako e Parigi sembrava fuori discussione. Il Mali, ex colonia francese e cuore pulsante del Sahel francofono, ha anzi chiesto nel 2012 l’intervento dell’Eliseo in funzione anti terrorismo. Da quell’anno in poi infatti, specialmente dopo il golpe che ha detronizzato l’allora presidente Amadou Toumani Touré, il territorio maliano è diventato ingestibile per le autorità centrali e questo ha favorito l’emergere dei gruppi jihadisti nel nord del Paese.
L’avvicinamento del Mali a Mosca
Ha preso così avvio l’operazione francese Serval, denominata un anno dopo operazione Barkhané. La stessa che pochi mesi fa il presidente francese Emmanuel Macron ha considerato conclusa. E non certo con successo. Il terrorismo nel Mali è ancora forte e la gestione francese delle operazioni ha destato non pochi malumori. Parigi è adesso vista come mera potenza coloniale che ha usato il terrorismo come scusa per espandere la propria influenza nel Paese. Sono queste le frasi più udite a Bamako, come nelle altre grandi città maliane. Ad alimentarle sono anche gli imam. In particolare uno, l’imam Mahmoud Dicko. A capo del consiglio islamico del Mali, in un Paese dove il 95% della popolazione professa la fede islamica, le sue parole hanno un peso politico molto importante.
Mosca ha fiutato l’affare e ha messo le mani su un Paese dove la retorica anti Parigi ha iniziato a mettere in discussione i tradizionali legami con l’ex madrepatria. Già sul finire dello scorso decennio non di rado sono apparsi vessilli russi nella manifestazioni portate avanti a Bamako. Nel 2020 e nel 2021, il Mali ha poi subito due colpi di Stato. In entrambi i casi il grande artefice è stato l’attuale presidente, il generale Assimi Goita. Quest’ultimo ha impresso una forte accelerazione nella virata del Paese africano verso Mosca. Nel settembre del 2021 la Reuters ha parlato di un accordo tra il suo governo e la Wagner, l’agenzia di contractors russi. Il contratto, secondo le fonti diplomatiche citate allora, prevedrebbe il versamento, da parte del Mali, di dieci milioni di dollari al mese. Voci importanti hanno iniziato poi a circolare circa non solo la presenza di contractors russi nel Paese, ma anche di rifornimenti provenienti direttamente da Mosca.
Nel 2022 i contatti tra le due parti sono diventati più evidenti. Nell’agosto scorso, è stato direttamente il Cremlino a riportare una conversazione telefonica tra Goita e Putin. Le astensioni all’Onu sulla guerra in Ucraina hanno certificato l’avvicinamento tra i due Paesi. Il 7 febbraio scorso poi, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov si è recato a Bamako per una visita ufficiale. Il voto contrario del 23 febbraio sulla mozione di condanna alla Russia, altro non ha rappresentato quindi che l’ultima tappa di un percorso di avvicinamento lungo quasi un decennio.
Cosa potrebbe accadere adesso
Per il Cremlino avere l’appoggio del Mali ha in primo luogo un significato politico. Vladimir Putin può affermare di non essere isolato e anzi di avanzare in Africa a scapito della Francia (e quindi dell’occidente). Non è un caso che nel discorso tenuto il 21 dicembre alla Duma, il presidente russo ha posto l’accento su una forte retorica “terzomondista”. Inoltre, Mosca può mettere le mani su un Paese con molte risorse e che rappresenta la porta di accesso nel Sahel.
Ed è proprio quest’ultimo aspetto che, di riflesso, sta iniziando a preoccupare e non poco l’occidente. Il voto del Mali al fianco della Russia, ha certificato l’apertura di una breccia nell’area francofona del Sahel. La scelta di Bamako potrebbe quindi rappresentare un precedente. Slogan e frasi anti coloniali stanno avanzando infatti anche nel vicino Burkina Faso, Paese dalla storia recente molto simile a quella del Mali. Anche qui le forze jihadiste sono in avanzata e anche qui il potere è stato preso dai militari con un golpe. A gennaio il presidente Ibrahim Traoré ha chiesto alla Francia di ritirare le sue forze.
Nel Sahel quindi è in corso un drammatico braccio di ferro tra l’occidente e la Russia. La presa di posizione del Mali, potrebbe al momento orientare la contesa a favore di Mosca.
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