(UGO ROSA – glistatigenerali.com) – I tasselli del puzzle mediatico iperattuale hanno l’inarrivabile pregio di comporsi meravigliosamente in figura.
Non c’è la necessità di un giocatore che ne comprenda e curi la disposizione.
Tutto accade, per così dire statisticamente, in base alla teoria della probabilità.
Il personaggio mediatico non ha bisogno di dire alcunché con parole sue, anzi, neppure ha bisogno di pensarlo. La sua persona è già un’epifania. Il già detto e pensato lavora per lui. Tutto ciò che deve fare è presentarsi.
Le sue banalità si disporranno giustamente secondo le linee di minor resistenza. Ogni insulsaggine acquisterà la caratura di una sentenza, non importa se per l’espace d’un matin; immediatamente, tanto, interverrà il ricambio, che sarà il medesimo per quanto in altra forma. E’ così che il moloch massmediatico autoalimenta la sua autorevolezza.
Di cosa si occupano i telegiornali, i talk show, le cronache? Di tutto e niente.
Ovvero della “vita così come noi la concepiamo” che, nell’accezione comune, è “la vita reale”.
Vale anche l’inverso.
Che cos’è la vita reale? Ciò di cui si occupano i telegiornali, i talk show e le cronache. Sembra che, a conti fatti, si sia individuato il meccanismo del moto perpetuo. Ma poiché, come insegna la termodinamica, non è possibile costruire un motore che lavori continuamente e produca dal nulla qualcosa, allora è evidente che, da qualche parte, deve esserci una perdita e, da qualche altra, un incremento.
L’incremento è dato dalla chiacchiera d’alto profilo, la perdita è quella del senso della realtà.
Ci pensavo stamattina mentre, in tv, una mezza dozzina di professorali imbecilli d’ambo i sessi, professoralmente disquisivano dello spettro della “denatalità”. Se ne rammaricavano caldamente e proponevano metodi per sopperirvi, uno più interessante dell’altro.
Pare che esso costituisca un vero problema per l’INPS! Ecco qui…il pianeta terra, quello nel quale disgraziatamente coabito con gli imbecilli di cui sopra, sta crepando per sovraffollamento ma pare che, per questioni pensionistiche, ci si debba rimboccare le maniche – è un eufemismo – e riprendere a figliare!
Detto così sembra una follia. Eppure in quella follia c’è del metodo.
Nessuno di quei chiacchieroni sembrava sospettarlo ma la conclusione di tutto è la stessa ed è quella di sempre: ci sono dei nonni, here there and everywhere, che, con le loro pensioni di settecento o mille euro al mese, stanno proditoriamente affamando i nipotini. Occorre, in primo luogo, che se ne vergognino. Perché, vergognandosene, intascheranno quell’elemosina come una succulenta prebenda di cui essere inarrivabilmente grati allo Stato che gliela concede.
La medesima logica che circolava in quelle chiacchiere da osteria frequentata da professori in pausa pranzo è reperibile dappertutto. Anche dove non ti aspetteresti di trovarla. Allego un breve monologo di un intellettuale progressista di primo livello: Michele Serra andato in onda qualche giorno fa.
Serra, come intellettuale di riferimento, riveste funzione eminentemente decorativa e tuttavia scenograficamente essenziale.
Con quell’aria da Pierrot – e in questo caso anche una graziosa pancetta inguainata di bianco che con la sua silhouette lunare illumina l’assorta atmosfera dello studio – tappezza in forma di carta da parati perfino le murature più ammuffite, fornendo alle pareti un avvenenza insospettabile. Una bella passata e la muffa non si vede più.
Questa volta ci dà sotto, pensate un po’, nientemeno che con l’università della strada: tornare per strada è la parola d’ordine.
La chiusa avrebbe fatto venire le lacrime agli occhi perfino a Neal Cassady e al suo cantore ufficiale Kerouac: la strada per conoscere noi stessi.
Di che sta parlando Michele Serra?
Di consegna della pizza a domicilio.
Ma, come nel caso precedente e in innumerevoli altri, la morale della sceneggiata è sempre la stessa.
Crepano i rider? La colpa – Serra non è così cretino da dirlo con franchezza ma dal monologo non si può evincere altro – è, in sostanza, di chi ordina la pizza.
Esattamente come ad affamare i giovani erano, nel caso precedente, i pensionati e quelli che non figliano.
Di che si tratta allora? E’ semplice: si tratta, come sempre, di polverizzare la responsabilità sociale fino al suo dissolvimento.
E di farlo in ogni occasione.
Infatti è esattamente questo che avviene per ogni questione all’ordine del giorno: dal riciclo della spazzatura al reddito di cittadinanza, dalla crisi energetica a quella alimentare.
La trasformazione del povero in straccione lieto della propria miseria – che percepirà così come privilegio e non come oppressione – passa attraverso la sua sottile, perenne, inesausta, colpevolizzazione.
Un complice inebetito, colpevolizzato e conscio della sua compromissione è infatti il migliore e il più ricattabile dei servi.
Mentre gli intellettuali di riferimento se ne andranno, à la manière de Serra, a conoscere se stessi – ma fischiettando Gaber, mi raccomando – per strada.