Voce di Sophia Angelozzi
di Mirabilia Orvieto
Il ciclo pittorico della cappella del Corporale non costituiva una semplice scenografia d’arte. Chi guardava era invitato a passare dal vedere al credere e dal credere a nutrirsi di quel Dio che, fattosi uomo, era ancora presente nell’ostia consacrata. Fu Tramo Monaldeschi della Cervara, vescovo dal 1328 al 1344, a voler fare di Orvieto una città eucarestia, meta di pellegrinaggi, e per questo avviò il progetto di una nuova cappella e di un prezioso reliquiario che custodisse il lino del miracolo di Bolsena, portato solennemente in processione nel 1337 per rilanciare la festa del Corpus Domini.
Entrare nel Duomo e oltrepassare la soglia di quel sacro luogo significa immergersi nell’universo simbolico del Medioevo dove ogni forma di pensiero artistico e religioso s’intrecciava con la dimensione epico-leggendaria della fede, allo scopo di rendere comprensibile a tutti il mistero della santa messa. Sotto la supervisione dei teologi domenicani, l’artista Ugolino d’Ilario non esitò infatti a rappresentare, insieme agli altri miracoli eucaristici, il potere divino dell’ostia che si manifestò anche nel campo di battaglia di Acri, davanti all’esercito crociato e musulmano. Quel giorno, tra spade e volti sanguinanti, il pane si tramutò in un bambino zampillante sangue la cui immagine rievocava la meravigliosa apparizione del Graal, descritta nel romanzo di Boron.
Al di là di ogni mistica credenza, dall’episodio di sant’Ugo che al momento della morte vede la particola volare in cielo con la sua anima, al profanatore pentito che fa mangiare l’ostia a un pesce che gliela restituisce dopo tre anni, i racconti della cappella erano lì per esaltare il segreto racchiuso nel divino sacramento mostrandolo per “ciò che era veramente“.
A difesa della verità dell’eucarestia si pronunciò papa Nicolò II che, nel 1059, rispose così alle tesi contro la transustanziazione di Berengario di Tours: “Confermo che il pane e il vino posti sull’altare, dopo la consacrazione sono non soltanto un sacramento ma anche il vero corpo di Gesù Cristo…presi materialmente e spezzati nelle mani del prete e frantumati dai denti dei fedeli in modo non solo sacro ma anche reale“.
Concilii, trattati, lettere, sermoni, opere dottrinali e liturgiche, come quelle di papa Innocenzo III e di Beda il Venerabile, confutarono senza sosta le dottrine eretiche dei Catari e degli Albigesi, acerrimi oppositori della presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche.
Ma a infiammare i cuori fu papa Urbano IV che, nel 1263, accolse nella città di Orvieto le reliquie insanguinate del miracolo di Bolsena e affidò al grande teologo san Tommaso d’Aquino il compito di redigere l’ufficio liturgico della festa del Corpus Domini da celebrare in tutto il mondo.
Nella cronaca del miracolo, raccontata in sei grandi scene, viene celebrato lo stretto legame tra Urbano IV e le vicende del prodigio come a suggellare l’indissolubile unità dell’eucarestia con la Chiesa istituzionale, già profetizzata nella vela sopra l’altare. Qui appare l’incontro tra Abramo e il sacerdote Melchisedek che offre al Patriarca pane e vino, prefigurazione dell’eucarestia. Erede dell’antica tradizione spirituale di Pascasio e Ratramno di Corbie tramandata nelle opere “De corpore et sanguine Domini” (IX secolo), il pontefice non tardò a promulgare, appena un anno dopo il miracolo di Bolsena, la Bolla Transiturus con cui volle celebrare “l’eccelso e meraviglioso sacramento” istituito da Gesù quando fu “sul punto di passare da questo mondo al padre”.
La cappella del Corporale venne quindi pensata come una scenografia ideale per far rivivere alla comunità cristiana il memoriale dell’Ultima Cena. Sopra l’arco d’ingresso, proprio di fronte all’altare, Ugolino raffigura il Figlio di Dio che porge l’ostia a Pietro, mentre gli altri discepoli attendono a mani giunte di ricevere il suo Corpo e il suo Sangue. In ricordo di quella notte, anche i fedeli, radunati per la santa messa, avrebbero ricevuto dalle mani del sacerdote la vita stessa del Signore che, in modo invisibile, si faceva presente sull’altare sotto le sembianze materiali del pane e del vino.
Durante la consacrazione, il celebrante pronunciava le parole di Gesù che sono “dolci e preziose” ed elevando, nella persona di Cristo, l’ostia e il calice innalzava, come sul monte Golgota, il corpo sanguinante del Signore che ancora una volta si immolava per la salvezza del mondo. Agli occhi dei credenti il sacrificio di Gesù diventava ancora più reale contemplando la scena della Crocifissione dove angeli raccolgono in una coppa il sangue della Passione, “dolcissimo e santissimo“, uscito dalle mani e dal costato di Cristo, quello stesso sangue potentemente rievocato dalla reliquia di Bolsena! Dopo che il pane era stato mutato in Corpo, l’assemblea intonava le parole dell’Anima Christi, l’inno della Passione, che univa misticamente i fedeli alle piaghe del Salvatore per trovare in lui il perdono dei peccati nella speranza della felicità eterna.
L’atmosfera si faceva allora più intensa, esaltata dalle luci di fiammanti candele, dal suono delle campane, dalla melodia dei canti e dal profumo dell’incenso che riempiva soavemente lo spazio della cappella: tutto in quell’istante era racchiuso nel “piccolo cerchio bianco dell’ostia” da cui sarebbe dipeso il destino dell’umanità e il cui mistero veniva percepito non solo dallo spirito, ma anche dai sensi. Il sacerdote disponeva infine sopra l’altare le specie eucaristiche, l’una sull’altra, a significare che per il mistero della transustanziazione quel pane e quel vino erano divenuti veramente il corpo e il sangue di Cristo.
Parole, gesti e immagini convergevano perciò nella realtà dell’ostia-calice che Cristo pone davanti davanti a sé nella prima eucarestia, rappresentando sulla tavola dell’Ultima Cena l’albero della croce, ovvero il suo Corpo che sul piatto delle ostie (patena) continua a versare nel calice eucaristico il Sangue della Redenzione. A rendere più mistica la visione era ancora una volta il clerico Boron che nel suo celebre romanzo (“La storia del Graal”) trasformò il dogma della transustanziazione, sancito nel IV Concilio Lateranense del 1215, nella leggendaria apparizione del Graal.
Nel racconto si narra infatti che durante il banchetto del re entrò una solenne processione dove apparve, davanti ai commensali, il sacro calice accompagnato da due angeli, mentre dal cielo una colomba deponeva su un piatto d’argento un’Ostia luminosa consacrata da Dio stesso. La leggenda rievocava simbolicamente e in modo suggestivo la celebrazione della santa messa (il banchetto regale) con la discesa dello Spirito Santo (la colomba) che, procedendo dal Padre e dal Figlio, riempiva del divino la realtà del mondo (l’ostia e il calice) così da unire il Cielo alla Terra.
Il popolo di Dio portava dunque con sé la propria fede e le proprie credenze, un mondo popolato da visioni e apparizioni miracolose che attraverso i suoi rimandi simbolici, appartenenti all’immaginario collettivo, celebrava tutta la forza salvifica dell’eucarestia che giorno dopo giorno, secolo dopo secolo, attraverso dubbi e ravvedimenti, continuava a plasmare la storia del cristianesimo. E se in quel tempo l’emblema del Graal, forgiato dagli angeli e fonte universale di un cibo inesauribile, era riconosciuto da re, principi, cavalieri e da tutto l’Occidente, la cappella del Corporale esaltava il divino sacramento, gemma luminosa dell’anima, che venerato nel luogo più mistico della terra poteva essere preso all’altare ogni settimana o, addirittura, ogni giorno e la cui sostanza si poteva gustare non con il corpo ma con lo spirito.
Testi: Mirabilia
Voce: Sophia Angelozzi
Musica: Samuel Barber-Agnus Dei
Bibliografia:
Innocenzo III, De sacro altaris mysterio
Ratramno, De corpore et sanguine Domini
Urbano IV, Bolla Transiturus
C.D. Harding, Guida alla Cappella del Corporale nel Duomo di Orvieto
Onorio di Augustodunum, Gemma animae
C. Manunza, Nota teologica sulla Cappella del Corporale
L. Charbonneau Lassay, Il giardino del Cristo ferito
M. Sensi, Culto eucaristico fuori della messa
F. Zambon, Romanzo e allegoria nel Medioevo
M. Insolera, La Chiesa e il Graal