Un ampio testo che rovesciando i luoghi comuni mostra la aggressività dei paesi occidentali in spregio alle istituzioni internazionali promuovendo golpe, invasioni illegali e infiltrazioni di truppe in svariate aree del mondo.
(Matteo Bortolon – lafionda.org) – Il testo di Daniele Ganser Le guerre illegali della NATO, Fazi 2022, è un testo assolutamente da leggere, soprattutto nell’attuale periodo in cui, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’Alleanza Atlantica è propagandata come il custode della democrazia e dei valori occidentali. Non è quindi fuori luogo ripercorrere varie tappe di un percorso che vede i principali suoi Stati membri protagonisti delle più clamorose violazioni del diritto internazionale, nonché la stessa NATO impegnata in conflitti in flagrante violazione di qualsiasi legittimità.
Non è l’unico motivo: si tratta di un testo poderoso (537 pp. escluse le note e la Cronologia), zeppo di note, fonti, dati, ma con linguaggio piano e chiaro, facilmente accessibile nella ricostruzione dei vari episodi; senza dubbio è merito del traduttore aver esercitato uno stile così invidiabilmente cristallino, ma dotato di un procedere meditato e ordinato, un po’ differente da quei testi militanti che, quasi divorati dall’ansia della divulgazione indignata, riversano dati e argomenti come pugni sul lettore, correndo da un punto all’altro del filo cronologico. I fatti narrati in diversi punti ci evocano il nostro presente non solo in relazione alle responsabilità di conflitti, golpe, bombardamenti e massacri, ma per le loro modalità attuative, echeggiandoci quello che stiamo vivendo dai primi del 2022. Ma procediamo con ordine vedendo in maniera più precisa i contenuti.
Il testo parte con alcuni capitoli che delineano la nascita delle Nazioni Unite e gli istituti giuridici che sanciscono il divieto di guerra in tutte le sue accezioni; questi primi svelti capitoli sono più che il prologo in senso temporale rispetto agli avvenimenti successivi. Definiscono il criterio etico-politico con cui giudicarli: il primato del diritto sulla politica di potenza in conformità ai diritti umani e al criterio di legalità internazionale. Con questo l’autore dichiara da subito la propria posizione pacifista e internazionalista. Ganser non è però un idealista fuori della realtà: dichiara apertamente che il diritto non è rispettato dalle principali potenze, anzi il Consiglio di Sicurezza dell’ONU è un ambito in cui si mente, si strumentalizzano i fatti, si manipola l’opinione pubblica. Egli infatti è uno storico che si è impegnato nello studio dei conflitti internazionali e della NATO. Il primo libro che lo ha reso familiare al pubblico italiano è infatti Gli eserciti segreti della NATO. Operazione Gladio e terrorismo in Europa occidentale del 2005 per Fazi Editore, una straordinaria opera frutto del suo dottorato di ricerca in merito alle strutture stay-behind impiantate in vari paesi occidentali, forse ancora l’opera più completa per il numero di paesi affrontati. Dalla prospettiva privilegiata di tale ambito analitico l’autore dalle prime pagine ci avverte di essere giunto con sgomento alla conclusione secondo la quale “negli ultimi settant’anni sono stati in massima parte i paesi della NATO […] ad avviare guerre illegali, riuscendo sempre a farla franca” (pp. 22-23). Una conclusione che se ai tempi del primo libro faceva vedere rosso alle destre, allora saldamente sostenitrici della Guerra al Terrorismo di Bush, oggi produce un effetto simile anche – se non soprattutto – su aree politiche cosiddette progressiste, in prima linea contro i “russi cattivi”, il “dittatore Putin”, tanto da attirare sull’autore accuse di putinismo e complottismo. Si tratta di etichette che non fanno che mostrare la spregevole subordinazione di chi le formula alla propaganda del potere, visto che per esplicite ammissioni l’autore mostra una vibrante fede verso la necessità di un ordinamento internazionale, verso l’internazionalismo istituzionale, verso il rigetto più esplicito di ogni violenza e sopraffazione, secondo una ben assodata tradizione sviluppata nella sua Basilea.
Nella sezione più corposa del testo vengono descritte, ognuna in un capitolo, sette guerre dell’epoca della Guerra Fredda: contro l’Iran (golpe del 1953), contro il Guatemala (golpe del 1954), contro l’Egitto (crisi di Suez del 1956), contro Cuba (in specie la crisi dei missili dell’ottobre 1962), contro il Vietnam, contro il Nicaragua. Nei capitolo successivi si esaminano conflitti dagli anni Novanta in poi: Serbia 1999, Afghanistan, Iraq, Libia, Ucraina, Yemen e Siria. In effetti il titolo originario suona più o meno Guerre illegali. Come i paesi membri della NATO hanno sabotato l’ONU. Si richiama la responsabilità dei singoli Stati al di là di quanto essi abbiano agito sotto il manto dell’alleanza. Conformemente al criterio di legalità internazionale esposto, si ha una grande attenzione al dibattito al Consiglio di Sicurezza e al modo in cui esso non è riuscito a proteggere le vittime di guerre condotte fuori dai principi ONU, fatto questo che si richiama con insistenza: “la guerra degli Usa contro il Guatemala iniziò il 18 giugno 1954. Un conflitto del genere era interdetto non soltanto dall’ONU, ma anche dalla Carta della Organizzazione degli Stati americani” (p. 98); “la guerra [di Suez di Israele, Francia e Uk del 1956] pianificata era illegale, perché contravveniva al divieto dell’uso della forza stabilito nello Statuto dell’ONU” (p. 112); “coloro che sedevano nel NSC [National Security Council, organo Usa] sapevano benissimo che la loro decisione di rovesciare il governo a cuba anadava contro i principi fissati dallo Statuto delle Nazioni Unite” (p. 126); “si trattava di un’azione illegale [la tentata invasione di Cuba alla Baia dei Porci] che violava i principi stabiliti dallo Statuto dell’ONU” (p. 143); “l’attacco statunitense su territorio laotiano [del dicembre del 1964 ordinato da Johnson] avvenne senza mandato dell’ONU era quindi anch’esso illegale” (p. 225).
Come già detto vengono citate molte fonti, dirette ma anche commenti di giuristi, analisti, politici di opposizione, e simili. Una particolarità significativa è che l’autore si riferisce a un gran numero di fonti del mondo germanofono (soprattutto tedesco, oltre che svizzero e austriaco), autori per lo più ignoti al dibattito italiano in cui – sempre parlando di posizioni critiche all’occidentalismo in sansa atlantista – ci si rifà spesso ad autori statunitensi, più accessibili a testi in tedesco. Ci si quadernano di fronte quindi citazioni in buona parte ignote fuori dal dibattito tedesco – incluse posizioni espresse nel Bundestag in merito alle guerre cui la Germania ha partecipato.
Il capitolo che può essere considerato la cesura fondamentale è l’undicesimo, La guerra illegale contro la Serbia – 1999. In esso la ricostruzione parte dai primissimi anni Novanta e dalla disintegrazione della Jugoslavia, vediamo come le potenze eutoatlantiche abbiano agito per approfondire le spinte secessioniste. E arrivano anche due considerevoli novità: primo la diretta implicazione della NATO in quanto tale, precisamente nel bombardamento della Bosnia nel 1995; secondo l’atteggiamento mutato riguardo le istituzioni internazionali: mentre durante la guerra fredda si ignorava bellamente l’ONU, utilizzandola come cassa di risonanza della propria propaganda e eventualmente paralizzando il Consiglio col veto di Usa e Uk, nella fase successiva si cerca di far passare delle risoluzioni che si prestino a legittimare l’intervento militare, nascondendo la politica di potenza sotto il manto di una pretesa legittimità internazionale (quindi strumentalizzando le Nazioni Unite, spesso forzandole il testo) che tuteli i diritti umani. Le stesse potenze che amplificano se non creano la “malattia” si autopropongono come la “cura”. Qualcosa ci dovrebbe ricordare. E la sensazioni di leggere nel passato il nostro cammino futuro si rafforza in relazione ad una strategia tipi degli Usa: l’alleanza con gruppi estremisti (anticomunisti fanatici in America Latina, islamisti radicali in Bosnia, Afghanistan, Libia e Siria) che non è facile tenere sotto controllo (si pensi all’enturage di Osama bin Laden). La storia insegna, ma non si sa quanti siano disposti ad apprendere: qualcuno si sta domandando se gli estremisti ucraini foraggiati dalla NATO oggi saranno docilmente disposti a deporre le armi un domani?
Gli ultimi capitoli entrano quai nella stretta attualità: se soltano nel 2021 la guerra in Afghanistan è finita con un frettoloso ritiro, Libia, Yemen, Siria sono ancora ferite sanguinanti. Se per l’epoca della Guerra Fredda molti troveranno notizie per lo più risapute, sugli ultimi conflitti ci sono invece dettagli e complicità che solo chi segue tali scenari in maniera continuativa può conoscere o cogliere. Il testo è stato stampato per la prima volta nel 2016, ma alcuni capitoli sono aggiornati al 2022; il paragrafo conclusivo della sezione dedicata all’Ucraina si volge alla stringente attualità, e letto in continuità con gli avvenimenti precedenti (in specie Euromaidan e la guerrra nel Donbass) disegna un quadro convincente e senza dubbio indigesto per chi si ostini a far iniziare la Storia dal febbraio 2022 senza chidersi gli sviluppi anteriori – tipo cosa ci facesse il capo della CIA a Kiev nei giorni di febbraio 2014 in cui gli spari di cecchini attizzavano la protesta di piazza facendo cadere l’Ucraina nel campo occidentale.
Alla conclusione il lettore potrà uscirne con l’impressione di aver attraversato un referto delle azioni più turpi – nonostante si sia di necessità saltato molte pagine nere – dell’imperialismo anglosassone (Usa e Uk sempre mano nella mano), simili ad altre pubblicazioni come il Libro Nero degli Stati Uniti di William Blum. Ma è più di questo. Per quanto l’autore tenda in quanto storico a far comparire il meno possibile come soggettività e a far parlare i fatti – utopia ovviamente irraggiungibile da criterio asintotico verso cui sforzarsi – si avverte una dolente costernazione del fallimento di dotare le Nazioni di un efficace sistema di sicurezza che difenda i popoli più deboli dalla prepotenza e dalla aggressività, e la bruciante necessità di approfondire la comprensione delle dinamiche conflittuali. Negli studi sulla pace è fortemente radicata la necessità di capire i vari punti di vista delle forze in campo, mutando prospettive in modo creativo, principio che Ganser molto curiosamente mutua dal filosofo Nietzsche – non proprio il riferimento più scontato per un ethos apertamente pacifista – in particolare dal suo prospettivismo: “a mio avviso centrale per l’approccio pacifista [è] riuscire a immedesimarsi nell’altro gruppo e raggiungere punti di vista sempre nuovi e differenti, ma facendo questo, restare sempre consapevoli che anche questi nuovi punti di vista sono soltanto un insieme di pensieri che non può però rappresentare in alcun modo la totalità” (p. 442).
Nelle Conclusioni, forse rendendosi conto che un bilancio storico di tutte queste guerre dà poca speranza, l’autore ammette che la fiducia nelle istituzioni internazionali è stata (giustamente) scossa ma che esistono anche motivi per guardare positivamente al futuro, rivolgendosi principalmente ai giovani, e sostenendo l’opzione di transizione ecologica per essere meno dipendenti da fonti fossili che portano facilmente a guerre e conflitti. Nota anche che la proibizione della guerra secondo lo statuto ONU è relativamente recente in prospettiva storica, e che milioni di persone si impegnano quotidianamente in tale direzione. Questa posizione – che verrà vista come ingenuità da molti, anche nell’area che oggi si batte contro il bellicismo crescente e in cui è fortissima l’opzione di far piazza pulita di tutte le istanze internazionali o sovranazionali – è indubbiamente radicata nelle personali convinzioni dell’autore, in merito a cui va indubbiamente considerata la tradizione del pacifismo tollerante di Basilea. Ma possiamo anche vedervi quale elemento ispirativo una origine remota. Quasi nessuno legge i Ringraziamenti, saltando a piè pari una elencazione di nomi solitamente sconosciuti che si riducono a collaboratori, amici e parenti dell’autore. Ma in questa stringata paginetta si trova la memoria di una vicenda familiare: il padre di Daniele era figlio di tedeschi immigrati in Svizzera, e lui non avendo ancora ottenuto la cittadinanza elvetica fu chiamato alle armi dal console generale tedesco nel 1943 ma si rifiutò di arruolarsi per fare la guerra del Reich, scrivendo queste splendide parole:
Il motivo per rimanere qui è proprio la concezione del mondo del nuovo Reich, che ha reso i tedeschi invisi in tutto il mondo. Possa Dio un giorno farLe comprendere che i popoli sono come fratelli fra loro , e che nessuno deve imporre all’altro con la violenza la propria visione del mondo. Ancora adesso, non riesco a capacitarmi di come la nostra Germania, così profondamente cristiana, abbia potuto perdere ogni senso di responsabilità davanti a Dio.