Roma 25 marzo – Ieri l’Italia si è svegliata con un richiamo – che, però, ha tutto il sapore del rigurgito – “all’italianità”, all’orgoglio di sentirsi (non essere, che è differente) italiani, così è stata ribattezzata tale giornata da tivvù e giornali cui sempre più spesso viene affidata la delega esclusiva dell’in-formazione, epurandola, però, da ogni elementare, quanto dovuta, riflessione.

Quella che ci viene presentata non è l’Italia del pallone che ha rimediato la sconfitta contro la “perfida Albione”, ma proprio l’Italia nel pallone, quella che riesce a ricordare i 100 anni della fondazione dell’Aeronautica Militare senza alcuna celebrazione ufficiale – il ministro della Difesa Guido Crosetto ha pensato bene di andarsene in gita alla Leonardo, eccellenza italiana della sicurezza, dell’aerospazio e della difesa, ma in ambito industriale e “figlia” controllata dal Ministero dell’Economia e Finanze – e poi si è recato di protocollo alle Fosse Ardeatine; la stessa Italia che si ricorderà nuovamente di inno & bandiera solo al prossimo incontro di calcio; quella che dà ascolto ad un Frantoianni qualunque e cancella il nome di un asso dell’aviazione come Italo (nomen omen!) Balbo dalla cadrega degli aerei di stato; la stessa Italia che abolisce la festa del papà per rispetto di chi un papà non ce l’ha – ma come è possibile? – per restare nella stretta attualità o, addirittura, pretende di festeggiare il Natale senza il “nato”, se vogliamo dare una visione più ampia dello stesso tema.

Celebrazioni della “fascistissima”, senza cancel culture

Ebbene, questa Italia del cancella culture, ieri è riuscita persino a celebrare il centesimo anno di vita dell’Aeronautica senza citare mai, minimamente il Fascismo. La Regia Aeronautica, infatti, fu una delle prime creature del movimento littorio appena insediatosi al governo, tanto è vero che la sua fondazione avvenne solo cinque mesi dopo la Marcia su Roma, facendo, rapidamente, dei “combattenti dell’aria” una delle eccellenze di casa nostra che meglio incarnavano il prestigio dell’Italia all’estero, da dove i nostri connazionali emigrati sognavano di ritornare, un giorno, in Patria, magari a bordo dell’Ala Littoria, la compagnia di bandiera – sì, ne avevamo una, allora – italiana.

Proprio per la sua fondazione, proprio per i suoi padri come Balbo, già ras di Ferrara e quadrumviro della Marcia, proprio perché quell’arma del cielo era “totalitaria”, nel senso che piaceva proprio a tutti, dai nazionalisti che volevano un’Italia competitiva e moderna, agli intellettuali come d’Annunzio e i futuristi che cantavano l’aeroplano quale protagonista di una nuova società dinamica, fino agli imperialisti che volevano avvalersi di strumenti moderni da utilizzare “in” e “per” i possedimenti coloniali e agli industriali che, fin dai tempi della Grande Guerra, avevano visto nell’aviazione un affare lucroso, senza fare eccezione per lo stesso Mussolini, immediatamente brevettatosi, che amava pilotare, che non disdegnò di offrire la vita di due dei suoi figli, piloti in guerra anche loro – e, non ultimo, grazie ai successi senza eguali, come parte dei primati detenuti e ancora imbattuti, primo su tutti la trasvolata oceanica, questa leggendaria Arma volante si guadagnò l’accezione di “fascistissima”.

Se, poi, vogliamo dirla tutta, ovvero ciò che l’”in-formazione ufficiale” ieri non ha raccontato, bisogna pure ricordare che dopo la resa incondizionata dell’8 settembre – che il mainstream chiama impropriamente “armistizio” – la “fascistissima” non esitò a “scegliere l’Italia” confluendo interamente nella Repubblica Sociale Italiana, da dove continuò a mietere successi e a dispensare esempi che sono giunti fino a noi.
Da queste colonne libere e non uniformate possiamo anche affermare, con piena tranquillità di coscienza, qualora non si sapesse, che ancora oggi le aviazioni degli altri Paesi guardano a quella che fu la Regia Aeronautica per studiare e perfezionarsi, a riprova del fatto che è esistito un italian style sia nelle creazioni di apparati statali sia nel combattimento; che oltreconfine tuttora guardano non all’Italia, ma a quella Italia, quale esempio ancora valido, quale ricchezza imperitura da cui ancora attingere, quale eccellenza cui tendere. Ed è di una tremenda bellezza vedere gli intellettò uniti e compatti, con cancellino e bianchetto, affannati a tentare di cancellare ora la statua, ora il palazzo, poi l’idea, il concetto, il neologismo, l’esempio, la storia, la civiltà. Certi che li troveremo ancora così, a fare le medesime cose, anche tra cent’anni. Senza che abbiano ancora finito il loro sporco lavoro di “pulizia”.

Tony Fabrizio

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