Roma, 17 feb – Calenda ci ricasca. Dopo l’infelice uscita in seguito alle elezioni regionali quando aveva dato la colpa dei modesti risultati del Terzo Polo agli elettori, il leader di Azione ha pubblicato oggi sul Corriere della sera una lettera di chiarimento sulla vicenda dando però sfoggio del suo solito snobismo culturale e prendendosela ancora una volta con quella parte di popolazione per la quale il voto è diventato “l’equivalente del televoto al Festival di Sanremo”.

Calenda: “Gli elettori non possono avere sempre ragione”

La pezza è peggio del buco, almeno così verrebbe da dire seguendo le evoluzioni – o meglio le involuzioni – dell’analisi delle votazioni regionali da parte di Calenda. Nonostante si affretti ad affermare di essersi assunto “tutte le responsabilità” per il “deludente risultato del Terzo Polo”, questo sembra essere smentito dal resto della lettera dove traspare un certo risentimento verso gli elettori. Sorpreso dallo “scandalo” che avevano destato le sue precedenti dichiarazioni, il primo obbiettivo polemico di Calenda sono proprio quei commentatori che lo hanno criticato in nome del principio secondo cui “gli elettori hanno sempre ragione”. Un atteggiamento a suo dire ipocrita, perché “in una democrazia gli elettori non possono avere sempre ragione e contemporaneamente sempre lamentarsi della politica che pure hanno votato”. Insomma, dopo le elezioni si dovrebbe stare tutti zitti e buoni.

Il paragone con Sanremo

Poi il leader di Azione si lamenta del fatto che “da molto tempo il voto degli elettori prescinde da ogni criterio razionale relativo alla capacità effettiva di governo delle istituzioni dei candidati in campo”, spiegando come è prevalso un “voto «contro»” a cui poi si è affiancato un “voto per moda”. Da qui il paragone con Sanremo: “Il voto è diventato insomma per una parte di popolazione l’equivalente del televoto al Festival di Sanremo”. Da tutto ciò sarebbe escluso “il meccanismo di scelta delle persone più preparate per governare il Paese”. Dopo aver parlato di questa “degenerazione della democrazia liberale in Italia, e delle democrazie liberali in genere” cerca rapidamente di indagarne le cause andando a toccare temi molto vasti, come la caduta delle ideologie, la semplificazione mediatica di processi complessi come la globalizzazione, e la società dell’intrattenimento, finendo con un’affermazione ben poco ottimista sul “trentennio di declino morale e civile” che staremmo vivendo.

Tra snobismo e promozione di sé

Non è nostro compito difendere la democrazia da Calenda, anzi che si possa discutere anche delle sue criticità è un fatto positivo. Quello che è respingente nelle parole del leader di Azione è quella spocchia di chi contesta la democrazia solo quando da questa viene contestato, di chi ci tiene a far sapere “ma la democrazia è più complicata di così” ogni qual volta la democrazia non gli dà ragione, è l’incomprensione del demos che non è solo popolo ma anche quartiere, tribù, comunità, identità. Così quando Calenda si appella alla razionalità e alla competenza, pensa solo alla sua in un disconoscimento e in un’asimmetria verso gli altri. Senza nemmeno sostenere la prova dei fatti.

Michele Iozzino

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