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Chi è l'analista Graham Fuller, il vero Jack Ryan

Parlando con Howard Teicher, direttore dell’unità Vicino Oriente e Asia meridionale, Fuller viene a sapere che gli Stati Uniti stanno riscontrando una serie di difficoltà in Nicaragua. Nel piccolo paese mesoamericano, dove una rivoluzione comunisteggiante ha soppiantato la dinastia filoamericana dei Somoza, è fortemente sentita la necessità di formare un’opposizione extraparlamentare armata che sia in grado di impedire la nascita di una seconda Cuba.

L’intuizione di Fuller, che prenderà la forma di un pezzo riflessivo a doppia firma – con Teicher –, è intrisa di creatività strategica. L’idea del duo, che stregherà la presidenza Reagan, è di aprire un canale di dialogo segreto coi vertici iraniani allo scopo di vendergli armi sottobanco, i cui proventi sarebbero stati destinati al finanziamento e all’armamento dei Contras. Quattro piccioni con una fava: Khomeini e Saddam inconsapevolmente diretti verso una guerra di logoramento, l’avanzata sandinista fermata dalla guerra civile, l’Unione Sovietica allontanata dall’Iran e impantanata in Nicaragua.

Le armi come mezzo per un obiettivo duale: il congelamento dei processi d’ascesa di due potenze mediorientali ostili a Washington, ovvero Baghdad e Teheran, e l’apertura di una nuova bocca di lupo per l’Orso sovietico, già alle prese con un’albeggiante rivoluzione a Varsavia e con una guerra asimmetrica a Kabul. Armi ai khomeinisti per combattere i baathisti e per finanziare gli antisandinisti, ma con reale orizzonte il collasso dell’accerchiata e morente Unione Sovietica. Una triangolazione che, una volta di pubblico dominio, avrebbe preso il nome di affare Iran-Contra.



A differenza di altri attori coinvolti nello scandalo Iran-Contra, come Oliver North e Caspar Weinberger, Fuller sarebbe uscito illeso: né sottoposizione a processo né bisogno di perdoni presidenziali. Mentre una parte dell’amministrazione Reagan finiva indagata o nel mirino della giustizia, Fuller, il cui contributo alla nascita del piano fu ritenuto “fondamentale” dal New York Times, veniva premiato dallo Stato profondo e nominato, nel 1986, vicepresidente del Consiglio di Intelligence Nazionale.

Al termine della Guerra fredda, vinta dagli Stati Uniti anche grazie alle intuizioni perspicaci di Fuller, l’analista avrebbe lasciato ogni incarico governativo, preferendogli l’insegnamento nelle università, la sporadica comparsa su grande stampa, la pubblicazione periodica di riflessioni su think tank e la scrittura di libri su Islam, Turchia e relazioni internazionali in Medio Oriente, tra i quali i casi editoriali The Future of Political Islam e A World Without Islam.

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