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Dall'intelligence a BlackRock: Washington a Davos schiera l'élite

Accanto alla bandiera crociata della Svizzera, Paese ospitante, sarà quella a stelle e strisce degli Stati Uniti a campeggiare con forza al World Economic Forum di Davos in programma dal 16 al 20 gennaio 2023. L’edizione contemporanea del Forum è la più connotata in senso americano degli ultimi anni. Mancando il tradizionale filotto di grandi leader, con quattro leader del G20 (Spagna, Sudafrica, Corea del Sud e Germania) confermati, Olaf Scholz unico capo di Stato del G7 atteso con certezza e in forse il britannico Rishi Sunak, il peso delle delegazioni al summit internazionale è ancora più importante come indicatore.

Con 703 persone registrate, gli americani costituiscono il 27% di tutti i partecipanti accreditati al World Economic Forum 2023. E la presenza attenta di così tanti esponenti della nazione-guida dell’Occidente mostra la volontà di diversi settori di potere a Washington di capire la complessità di una globalizzazione plasmata attorno al consensus mercatista, finanziario e geopolitico americano e oggi sempre più frammentata. Puntando al contempo a dettare l’agenda nei confronti dei rivali accusati di essere i guastatori della globalizzazione: Cina e Russia, colpite rispettivamente con i dialoghi sul fronte ambientale e geostrategico.

La delegazione statunitense inviata dall’amministrazione Biden è indicativa nella sua composizione: si fonda sull’inedito trittico diplomazia economica-ambiente-sicurezza nazionale e comprende la direttrice dell’organismo di coordinamento della Casa Bianca che gestisce l’intelligence nazionale, Avril Haines, il direttore del Federal Bureau of Investigation, Christopher Wray, l’inviato speciale della presidenza Usa per il clima, John Kerry, diplomatico di punta di Joe Biden ed ex segretario di Stato, e la rappresentante per la politica commerciale Katherine Tai. Quattro figure per una complessa visione del mondo e di approccio degli Usa alla transizione dell’ordine globale, nella cui ristrutturazione vogliono essere protagonisti. Il Forum di Davos sarà anche l’occasione per smussare problematiche e costruire strategice.

Haines avrà dei confronti diretti con il segretario della Nato Jens Stoltenberg per ragionare sul futuro del sostegno all’Ucraina invasa dalla Russia, e sarà interessante valutare anche la presenza di tre figure-chiave di Paesi dall’alta valenza strategica per Washington. Sarà presente Andrzej Duda, presidente della Polonia bastione Usa in Europa orientale, assieme a Kyriakos Mitsotakis, leader della Grecia vicinissima a Washington sul piano militare, diplomatico ed energetico nel Mediterraneo orientale, e a Sanna Marin, premier finlandese che cercherà rassicurazioni sulla prossima adesione al Patto atlantico. Kerry con Tai è atteso per discussioni con Ursula von der Leyen, che da presidente della Commissione Ue prepara la risposta all’Inflation Reduction Act di Biden che ha generato tensioni economiche e politiche a Bruxelles.

Washington vuole ribadire la compattezza dell’élite occidentale attorno alle sue priorità e utilizzare anche il tema dello sviluppo sostenibile, soprattutto in campo ambientale, come asset geopolitico contro la rivale Cina.

Top manager e intellettuali: tutti i big Usa presenti a Davos

Sostanziale in tal senso l’imponente presenza di top manager e amministratori delegati di settori strategici. 634 top manager parteciperanno al vertice (25% del totale dei presenti) tra cui molti grandi nomi americani: Quartz ricorda Stephane Bancel di Moderna, assieme a Julie Sweet del colosso di consulenza Accenture, Andy Jassy di Amazon, moderna “Compagnia delle Indie“, e all’attesissimo Larry Fink, fondatore e Ceo di BlackRock che da anni detta l’agenda su finanza green e transizione energetica.

Saranno di matrice americana le aziende che manderanno il maggior numero di ospiti: Accenture ne manderà ben 9, Salesforce 8, mentre sette a testa arriveranno da Google, McKinsey e la stessa BlackRock. Anche le due delegazioni mediatiche più numerose saranno a stelle e strisce: la Cnbc con tredici tra giornalisti e tecnici è seguita dal Wall Street Journal con sette dipendenti inviati.

Last but not least, i pensatori e gli intellettuali. A partire da coloro che hanno una navigata esperienza politica alle spalle: l’immancabile Al Gore, già vicepresidente di Bill Clinton, sarà a fianco di Henry Kissinger, prossimo ai cento anni ma ancora acuto commentatore di geopolitica e sfide globali, che dialogherà col politologo Graham Allison della Harvard Kennedy School of Government, teorico della “trappola di Tucidide” e dell’ammonimento sui rischi dello scontro diretto Usa-Cina. Presente anche il mondo della scienza: David G. Victor, docente esperto di tematiche tecnologiche e di innovazione dell’Università di San Diego, avrà modo di confrontarsi sulla fusione con Kimberly Budil, direttrice dei laboratori federali Livermore in cui è stata messa la prima pietra miliare sul nucleare di nuova frontiera.

Una presenza in forze, dunque, che mostra come la globalizzazione possa continuare a parlare il linguaggio degli Usa anche in una fase in cui l’idea del mondo unipolare è tramontata. Washington sa sfruttare al meglio questi consessi e vuole, soprattutto a livello d’immagine, segnare un punto a Davos, mostrando la sua volontà di giocare da protagonista alla ristrutturazione delle regole della globalizzazione. Nella quale tra tutela delle nazioni e di grandi temi come l’ambiente e la tecnologia vuole far rientrare la proiezione geopolitica ostile a qualsiasi rivale sistemico. E occasioni come Davos sono perfette per tessere la trama. Usando tutto il potenziale degli apparati pubblici e privati che la superpotenza a stelle e strisce mette in scena sulle Alpi svizzere.

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