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Disma, alias Buon Ladrone. La fede che sposta le montagne – Aldo Maria Valli

di Investigatore Biblico

Oggi mi trovavo a riflettere su un passo del Vangelo e su un personaggio che tutti conosciamo.

Sono scaturite in me alcune domande e mi sono reso conto che questo personaggio ha una grande importanza sotto diversi punti di vista. Peccato che sia un personaggio non preso in considerazione come si dovrebbe.

Avete mai sentito parlare di san Disma? Forse non lo conoscete sotto questo nome. Lo abbiamo sempre sentito nominare con l’appellativo di Buon Ladrone, il quale subì la medesima condanna di Gesù.

La cosa incredibile è, in effetti, quello che accadde quel giorno sulle croci: una Grazia senza precedenti e un segno di Misericordia inconcepibile per la legge e la mentalità del tempo.

Un delinquente, un criminale. E, diciamolo, perché il Vangelo non ce lo racconta, chissà cosa aveva combinato. Di certo non era stato condannato alla croce per aver rubato una mela.

Quindi, amici, altro che “buon”, abbinato a un termine che oggi fa quasi ridere, “ladrone”.

Potremmo chiamarlo camorrista, stupratore, mafioso, assassino, truffatore, ingannatore, ladro, eccetera. Tutto quello che possiamo immaginare di peggio, appiccichiamolo al personaggio.

Il Vangelo in greco usa il seguente termine, correttamente tradotto da Cei (sia 1974 che 2008) con il termine malfattore:

κακοῦργος [-ον]

1 aggettivo: che fa male, ribaldo, malvagio, scellerato, maligno

2 (di cose) malefico, pernicioso, dannoso

3 sostantivo maschile: malfattore, delinquente, ingannatore

Dunque, facendo viaggiare l’immaginazione, posso pensare che il malfattore avesse sentito parlare di Gesù in precedenza (non lo sappiamo per certo) e chissà, magari ne era rimasto incuriosito, ma in quel momento specifico il suo cuore si apre e riconosce in Gesù la verità: Egli è Dio. Per questo lo implorerà di ricordarsi di lui una volta entrato nel Regno. Perché ormai il malfattore è un credente.

Questo santo, invocato pochissimo, è forse il più originale e garantito. È infatti Gesù Cristo in persona a canonizzarlo.

Come spesso accade, Dio sceglie i peggiori e reietti, per farne qualcosa di impossibile. Il personaggio meno probabile – un criminale pentito – è in effetti il primo santo del paradiso.

Non entriamo in polemiche correlate ai processi di beatificazione, di cui, ahimè, sono stati testimoniati alcuni processi di dubbia chiarezza, correlati da ingenti somme di denaro, per cui è stato scritto che bisogna “aggiungere tutto ciò che riguarda le ricerche, l’elaborazione delle positio, il lavoro del postulatore e di altri esperti e ricercatori eventualmente coinvolti, la stampa dei volumi, gli allestimenti per la cerimonia. Ed è qui che il costo di una causa per la santità può lievitare in modo impressionante fino a raggiungere la cifra complessiva record di 750 mila, come nel caso del processo che ha portato alla beatificazione, nel 2007, di Antonio Rosmini” (Il Fatto quotidiano).

Di certo non è mio intento disquisire di ciò che viene evidenziato nell’articolo di cui sopra.

Torno, con enfasi, a san Disma, canonizzato seduta stante da Nostro Signore, e di cui non possiamo mettere in dubbio nulla.

Perché è santo?

Riflettendo attentamente, il nostro malfattore pentito ha compiuto un atto di fede enorme, che gli è valso il perdono di tutti i peccati, e l’ingresso immediato in paradiso. Disma ha riconosciuto in Gesù Crocifisso (condannato alla sua stessa pena) Dio in persona. Infatti, implora il Signore dicendo: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno” (Lc 23,42).

Come accennavo prima, molto presumibilmente non era la prima volta che sentiva parlare di Lui. Chissà, forse lo avrà anche ascoltato in una predicazione. Ma, agli atti, vista la condanna, la sua vita era rimasta la stessa: non era ancora cambiato.

Condannato alla crocifissione, pertanto, per essere dedito al crimine: omicidi, scorribande, alcool, truffe, frequentazioni notturne, eccetera, secondo la legge del tempo.

Ma quest’uomo ha avuto una fede che sposta le montagne.

Gesù, di fronte a quest’atto di fede, risponde: “In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43), facendone un santo e accogliendolo nel Regno prima di tutti gli altri.

Di certo emerge una virtù sul finire della sua vita: l’umiltà. Chiedere perdono a Gesù dei suoi innumerevoli peccati, con il cuore, senza sconti di pena, considerando che morire in croce non è una passeggiata.

Don Paolo Ciccotti scrive in un articolo sulla Nuova Bussola: “L’insegnamento è chiaro: non si può parlare di misericordia senza lotta al peccato, senza pentimento e conversione. Spesso oggi la misericordia viene invece utilizzata come pretesto per dichiarare il peccato inesistente o al più normalizzato. Capita di frequente di sentir dire ‘che vuoi, siamo umani!’, come a voler giustificare ciò che invece deve essere smascherato e sradicato perché ci divide da Dio e, dividendoci da Dio, ci divide da noi stessi e dagli altri. Si finisce così di parlare di misericordia a senso unico, senza cioè parlare del pentimento, senza il riconoscimento del nostro peccato, svuotandola così di significato”.

Questo santo, seppur nei pochi istanti finali della sua vita, ha lottato contro il suo peccato e ha compiuto un meraviglioso atto di fede.

Un santo poco invocato, come dicevo. Navigando in rete sono reperibili alcune preghiere e invocazioni. Tuttavia, concedetemelo, ne ho elaborata una mia personale, che voglio condividere con voi, amati lettori.

Usando il Rosario, ho pregato spontaneamente in questo modo:

All’inizio Segno della Croce.

Sui grani grossi Pater, Ave e Gloria.

Sui grani piccoli il versetto del Vangelo: “Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno… In verità ti dico: oggi sarai con me nel Paradiso”.

In chiusura il Salve Regina.

Naturalmente non ha un imprimatur ecclesiastico. Ma è Parola di Dio, essendo versetti presi della Bibbia.

Spero vi possa essere di aiuto come lo è stato per me in questi giorni, per la vostra anima e per tutte le vostre necessità.

Fonte: investigatorebiblico.wordpress.com

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