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Elezioni in Turchia: cosa rischiano gli Usa scommettendo contro Erdogan

I rapporti tra Usa e Turchia tornano tesi. Domenica scorsa, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha tuonato contro l’ambasciatore Usa ad Ankara, Jeff Flake, “reo” di avere incontrato il suo grande rivale alle elezioni, Kemal Kilicdaroglu. L’incontro, pubblicizzato sia dalla stessa ambasciata statunitense che dagli organi del partito Chp, è stato descritto dagli uffici Usa come parte delle “continue conversazioni con i partiti politici turchi su questioni di reciproco interesse tra i nostri due Paesi”.

#AmbassadorFlake met with CHP Chairperson @kilicdarogluk today as part of continuing conversations with Turkish political parties on issues of mutual interest between our two countries. He expressed American solidarity and condolences for Türkiye’s earthquake losses. pic.twitter.com/aR0jRS7wJA

— U.S. Embassy Türkiye (@USEmbassyTurkey) March 29, 2023

Ma la dichiarazione della parte americana non è riuscita a placare l’ira di Erdogan il quale, sfruttando l’incontro tra i due per sostenere la propaganda più nazionalista, ha puntato il dito contro Flake affermando che le “porte, d’ora in poi, gli sono chiuse perché non conosce il suo posto” dal momento che “l’interlocutore qui è il presidente”.

Le divergenze tra Biden ed Erdogan

Le parole di Erdogan vanno considerate anche in base al contesto in cui sono state dette. Come ha scritto il Daily Sabah, il presidente turco si trovava infatti a un incontro a Istanbul con un club affiliato al movimento nazionalista di Devlet Bahçeli, suo grande alleato. Per il “sultano” quindi un’occasione troppo ghiotta per non sfruttarla nel comizio, considerato che tra pochi mesi la Turchia si recherà alle urne per decidere (anche) il prossimo presidente. Ma sono anche parole che confermano come i rapporti tra Stati Uniti e Turchia, e in particolare durante l’amministrazione Biden, corrono su un filo sottile fatto di necessità strategiche di entrambe le parti ma anche da un’evidente sfiducia da entrambe le parti.

Alla già nota visione negativa di Joe Biden nei confronti di Erdogan, palesata anche prima delle elezioni che lo hanno incoronato capo della Casa Bianca, si sono aggiunte in questi anni anche le nette divergenze sulla politica estera turca. E questo vale sia per quanto riguarda la politica della Turchia in Medio Oriente e nel Mediterraneo, sia, se non soprattutto, per quanto riguarda i rapporti tra Ankara e Mosca. La guerra in Ucraina ha certamente raffreddato i rapporti tra Russia e Turchia, ma non va dimenticato che durante tutto il conflitto Erdogan è rimasto in sostanza l’unico interlocutore di Vladimir Putin all’interno della Nato, al punto da essere considerato anche un potenziale mediatore.

Ankara tra Mosca e Washington

La partnership del resto è di lunga durata e, senza tornare al grande tema degli S-400 russi in territorio turco e ad altri dossier che uniscono i due Paesi, basta vedere a quanto accade negli ultimi giorni. Non solo la Turchia ha completato la realizzazione della centrale nucleare di Akkuyu (in collaborazione la Russia) e ha invitato Putin all’inaugurazione, ma in questi giorni è in arrivo anche il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov “su invito” dell’omologo turco Mevlut Cavusoglu. Quest’ultimo ha inoltre confermato il vertice a Mosca sulla Siria in cui sono presenti i rappresentanti di Russia, Iran, Turchia e, appunto, Siria.

A questa vicinanza tra Russia e Turchia, palesata del resto sia dall’accordo per l’esportazione del grano attraverso il Bosforo sia per la designazione di Ankara come hub per il gas russo verso l’Europa, si aggiungono gli irrisolti problemi con Washington su alcuni temi essenziali per Erdogan anche in chiave elettorale.

Joe Biden in visita ufficiale in Turchia da vicepresidente nel 2016. Foto: Epa/Turkish Presidential Press.

Il perché di questo gelo tra Usa e Turchia

In primo luogo, il governo turco aspetta ancora che gli Stati Uniti diano il via alla vendita degli F-16 dopo lo stop per la Turchia al programma F-35. Inoltre, dal punto di vista strategico, molti segmenti della difesa turca, non solo erdoganiani, ritengono che gli Usa stiano rafforzando eccessivamente la Grecia, eterno rivale nell’Egeo. Inoltre, molti accusano gli Stati Uniti di un atteggiamento ambiguo sui curdi, specialmente dopo il supporto fornito loro in chiave anti-Daesh. Ed è su questi punti che la propaganda del sultano martella sia per rafforzare il consenso dell’Akp, sia per penetrare nella grande area dei nazionalisti.

In vista delle prossime elezioni, soprattutto dopo la tragedia del terremoto e le accuse nei confronti del sistema di potere e con una crisi economica evidente, dobbiamo quindi attenderci che i toni dello scontro si elevino ulteriormente. In questo, è complice anche il fatto che per Erdogan la politica estera è un grande palcoscenico per racimolare consensi interni. Lo scontro con l’ambasciatore Usa – che ha servito un assist involontario ma molto utile al presidente turco – potrebbe dunque essere solo l’inizio.

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