Se descrivessimo la guerra in Ucraina come una forma di contrattazione fra due Stati? La teoria della contrattazione nasce da una semplice osservazione: le guerre (non diversamente dalle contrattazioni sindacali) sono sempre costose per le parti coinvolte. Il costo totale che entrambe le parti affrontano in una dinamica di sciopero o di guerra è sempre più elevato di quello che affronterebbero ricorrendo a una negoziazione pacifica.
Nondimeno scioperi e guerre sono ricorrenti. Perché allora Russia e Ucraina hanno comunque deciso di cimentarsi in questa costosa forma di contrattazione? Il modello della contrattazione suggerisce che la ratio di questa dinamica sta nel fatto che un attore, rivenendo lo status quo, si aspetta di ottenere dei benefici superiori ai costi di uno scontro aperto.
Il problema è che nella fase iniziale della contrattazione nessuno dei due attori è realmente sicuro dei costi in cui andrà incontro, perché non conosce appieno le proprie capacità e ha solo una conoscenza teorica di quelle dell’avversario. Quando finirà questo scontro? Quando uno dei due attori non sarà più in grado di sostenere il costo di questa contrattazione.
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La guerra in Ucraina: una contrattazione tramite la violenza
La guerra è costosa. Secondo Forbes Ucraina, il costo della guerra per la Russia ammonta a circa 82 miliardi di dollari al netto delle sanzioni economiche. Le ultime stime sulle perdite russe di materiale bellico parlano di più di 8.300 mezzi andati distrutti durante il conflitto. Se è più difficile trovare stime affidabili sul costo della guerra per l’Ucraina, secondo l’Ifw di Kiel gli aiuti dell’UE e degli USA ammonterebbero a circa 100 miliardi di euro.
Sebbene si tratti unicamente di stime, servono a rendere un’idea di quanto sia costosa per entrambe le parti la guerra in Ucraina. Se è così costosa in termini umani, economici, militari e reputazionali è lecito chiedersi perché le parti non tentino di trovare un accordo per via diplomatica.
Diversamente da numerose altre interpretazioni del conflitto che godono di grande visibilità nei media, vedere la guerra come una forma di contrattazione permette di spiegare perché le parti per ora non hanno intenzione di sedersi al tavolo negoziale. Imputare intenzioni malevole agli attori di questa conflitto, incentrate su malcelati giudizi morali e posizione partigiane, non sembra infatti apportare alcuna conoscenza ulteriore del conflitto e delle sue dinamiche.
Asimmetria informazionale e fiducia, due motivi per cui ricorrere alle armi
Diversamente dal caso dello sciopero, una guerra si combatte fondamentalmente per due motivi: per il potere o per il controllo di un territorio. Sebbene entrambi le ragioni siano – almeno in parte – presenti nel caso del conflitto in Ucraina, nella fase attuale la questione del controllo del territorio sembra preponderante. Si noti al riguardo che il fatto stesso di condurre una guerra per il controllo del territorio, riduce il valore dello stesso poiché ne degrada le risorse (umane, infrastrutturali, ecc.), quindi il valore complessivo dell’oggetto del contendere, allo scoppio delle ostilità e a prescindere degli esiti dello scontro, diminuisce.
In altre parole, la “torta” si restringe per entrambe le parti. Se almeno uno degli attori in questo gioco sceglie comunque di cimentarsi nella guerra, è perché si aspetta che il beneficio che ne trarrà sarà superiore al costo iniziale di combattere. La Russia si aspettava infatti di rovesciare il governo ucraino in una guerra lampo di tre giorni, come dimostra l’avanzata inziale verso Kiev, poi abortita. Se il Cremlino fosse riuscito nei suoi intenti, in effetti avrebbe potuto concludere un accordo per sé favorevole, probabilmente annettendo buona parte del territorio ucraino.
La decisione di muovere guerra a un altro attore, se presa in modo razionale, si basa quindi sulla stima che un paese fa delle proprie capacità. Maggiori le capacità, maggiori le possibilità di uscire vittoriosi. Per vincere non è necessario annientare l’avversario: trattandosi di una negoziazione (perseguita con le armi) si combatterà fino a che un attore non sarà costretto a cedere alle richieste dell’altro, o comunque fino a che il suo potere negoziale non si sarà considerevolmente ridotto. Se il piano di Mosca è fallito, in quest’ottica, è perché le informazioni di cui disponeva erano fallaci.
È infatti plausibile pensare che la Russia sino al 24 febbraio scorso sovrastimasse le proprie capacità belliche, sottostimando quelle ucraine. Non aveva probabilmente tenuto in adeguato conto delle proprie carenze logistiche, di equipaggiamento e di formazione del proprio personale così come non aveva considerato la preparazione dell’esercito ucraino, addestrato a partire dal 2014 dalle forze Nato. Nel mondo reale esiste un’asimmetria informazionale: attori diversi hanno conoscenze – e aspettative – diverse circa le proprie forze e quelle del nemico. Questo primo elemento spiega in parte perché gli Stati talvolta preferiscono le armi ai tavoli negoziali.
Il secondo problema è quello della fiducia: se anche si raggiungesse un accordo diverso dallo status quo ante guerra, chi garantisce agli attori in gioco che una parte non tenterà in seguito, quando le condizioni saranno più favorevoli, di rinegoziare l’accordo concluso? Le vicende del 2014 in Crimea e Donbass hanno sicuramente incrinato la fiducia che l’Ucraina poteva avere in un accordo con la Russia, e la violazione degli accordi di Minsk e dell’intesa raggiunta dal formato di Normandia non hanno certo disteso i rapporti, a prescindere da quali siano le responsabilità di entrambi le parti nel fallimento di queste iniziative diplomatiche.
Perché l’aiuto occidentale ritarda i negoziati
La guerra è quindi un modo, costoso, per ridurre quest’asimmetria nelle informazioni. Più i due attori combattono, più si rendono conto di quali siano le capacità proprie e dell’avversario. Aumenta allora anche la coscienza dei costi subiti e che si possono infliggere all’avversario. Il Cremlino sembra avere ora una consapevolezza diversa rispetto a quella che poteva avere allo scoppio delle ostilità. L’ipotesi di rovesciare il governo di Kiev è stata evidentemente scartata, così come nei fatti è naufragata la possibilità di occupare manu militari la sponda est del Dnipro. La carenza di uomini, attrezzature e mezzi da parte russa, ormai evidente anche a Mosca, riduce ulteriormente i termini di un possibile accordo.
In questa precisa fase del conflitto quello che sembra ritardare un possibile accordo fra le parti è l’aiuto occidentale. Pompando risorse e mezzi in Ucraina, l’Occidente inevitabilmente accresce la fiducia dell’esercito di Kiev, che per altro riscuote successi sul campo di battaglia. In altre parole, secondo il modello descritto, gli aiuti internazionali all’Ucraina contribuiscono a mantenere un’asimmetria informazionale fra le parti in campo, creando un ulteriore problema: perché, vittoriosa sul campo, l’Ucraina dovrebbe ora sedersi a un tavolo negoziale? In questa situazione per Kiev continuare a combattere è più razionale poiché il Paese si trova in una posizione di relativa forza. È infatti legittimo che l’Ucraina si aspetti, a parità di condizioni, nuove vittorie che ridurrebbero ulteriormente il potere contrattuale della Russia aumentando contestualmente il proprio.
Questa considerazione non deve però condurre a un critica dell’aiuto occidentale all’Ucraina. Esistono vari argomenti validi che giustificano infatti il supporto offerto a Kiev. Il primo è morale: la Russia, in violazione del diritto internazionale, ha aggredito militarmente un altro stato violandone la sovranità. Il secondo è strategico. La politica di appeasement non funziona, non funzionò con Hitler e non avrebbe funzionato con la Russia di Putin. Se l’Ucraina fosse ora in mano al Cremlino, che ne sarebbe della Moldavia, della Georgia e di tutti quegli stati verso cui la Russia nutre ambizioni territoriali e politiche? Il terzo argomento è invece più egoistico in un’ottica Europea: che immagine avrebbe dato di sé l’Unione, se questa avesse lasciato agire impunemente un vicino “ingombrante” come la Federazione Russa?
Infine, bisogna considerare che l’argomento secondo il quale ci sarebbero state meno vittime se non si fosse finanziata la resistenza militare di Kiev non tiene conto del numero di vittime che una resistenza civile diffusa avrebbe potuto causare. Senza contare le violazioni dei diritti umani che generalmente avvengono quando uno Stato è sotto occupazione militare di un invasore.
Il tempo dei negoziati potrebbe avvicinarsi
Il tempo dei negoziati potrebbe però essere dietro l’angolo: da più parti, soprattutto in America, giungono inviti a Kiev affinché apra al dialogo con Mosca. Ad esempio, il generale americano Mark Milley recentemente sosteneva che finché l’Ucraina è in una posizione di forza, dovrebbe intavolare delle negoziazioni con Mosca.
Pare inoltre che l’amministrazione Biden abbia chiesto a Zelensky di ammorbidire la propria posizione: un dialogo con la Russia deve essere possibile anche se Putin rimane al potere. C’è poi il fatto che fra le fila dei repubblicani scema il consenso circa gli aiuti militari inviati all’Ucraina. Numerosi analisti cominciano a dubitare della capacità di Usa e Ue di inviare mezzi militari e sistemi d’arma per un orizzonte temporale non ben precisato.
Continuando ad applicare il modello della contrattazione, queste voci potrebbero spingere Kiev a sedersi al tavolo negoziale, prima che il supporto occidentale venga meno.
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