31 Mar 2023 16:44 – di Bianca Conte
Adesso lo dice anche Ursula von der Leyen: «La maggior parte dei richiedenti asilo nell’Ue non ha bisogno di protezione internazionale». Pertanto, gli Stati membri dovrebbero concentrarsi sull’aumentare i rimpatri di coloro che non hanno diritto a restare. Dato che nell’Unione appena un quinto di coloro ai quali viene rifiutata la domanda d’asilo viene poi effettivamente rimpatriato. Non sempre e non solo per colpa dei Paesi extra Ue». E se a sottolinearlo autorevolmente è la presidente della Commissione Europea il monito acquista un tono istituzionale.
Migranti e rimpatri, la von der Leyen conferma il cambio di passo europeo
È innegabile, infatti, che la politica del governo italiano su una più veemente gestione dei flussi migratori si sta facendo sentire. E che, come ha sottolineato la stessa Giorgia Meloni nei giorni scorsi, sui migranti c’è stato «un cambio di passo impresso nello scorso Consiglio». Anche se adesso «la migrazione rimane una priorità degli obiettivi dell’Ue» con una «verifica dell’implementazione dei risultati nel prossimo Consiglio europeo». Non a caso, insomma, sull’immigrazione illegale ora il fronte europeo guarda più fattivamente all’orizzonte dei rimpatri. E in questo l’Italia può dettare la linea per un’azione collegiale più incisiva e condivisa.
La parola “rimpatri” nel vocabolario europeo
Le parole della von der Leyen, pronunciate nella riunione del collegio dei commissari dell’8 febbraio scorso a Bruxelles, alla vigilia del Consiglio Europeo straordinario sulle migrazioni – come riporta il verbale consultato dall’AdnKronos – risuonano come particolarmente significative. La parola “rimpatri” entra di rigore nel vocabolario europeo, e la linea italiana in materia di immigrazione illegale fa tendenza. E allora, la presidente ha rimarcato l’importanza di orientare le discussioni dei capi di Stato o di governo verso «obiettivi specifici».
von der Leyen: «Molti richiedenti asilo Ue non hanno diritto alla protezione»
E in questo contesto la numero uno della Commissione Europea ha ricordato anche che a circa «4 milioni di cittadini ucraini è stato riconosciuto lo status di rifugiato», applicando la direttiva sulla protezione temporanea. Per gestire in modo efficiente i flussi migratori, ha poi continuato, è di «fondamentale importanza» garantire che i co-legislatori Ue, Consiglio e Parlamento, adottino «tutti gli elementi del patto europeo sulla migrazione e l’asilo. Ed entro la fine del mandato di questa Commissione». Ossia, entro i primissimi mesi del 2024.
Il piano spedito ai leader Ue: frontiere e rimpatri
Allo stesso modo, per la von der Leyen è «essenziale» continuare ad attuare misure sul campo, per rafforzare i controlli alle frontiere dell’Ue, basandosi sugli «insegnamenti» tratti dal «progetto pilota» condotto sul confine tra Turchia e Bulgaria, per «accelerare i controlli di frontiera». E per «aumentare i tassi di rimpatrio dei migranti clandestini nei loro Paesi di origine». Perché, ha ribadito la von der Leyen, non solo «la maggior parte dei richiedenti asilo nell’Ue non ha bisogno di protezione internazionale». Ma anche in considerazione del fatto che – ha quindi aggiunto – «le norme in materia di asilo applicabili devono essere seguite scrupolosamente per salvaguardare il sistema».
«Chi non ha diritto allo status di rifugiato va rimpatriato in modo efficiente»
Di più. Proseguendo nella sua disamina la presidente ha rimarcato: «Inoltre, le persone a cui non è stato possibile ottenere lo status di rifugiato, devono essere rimpatriate in modo efficiente nei loro Paesi di origine». A tal proposito, ha rilevato la von der Leyen, i tassi di rimpatrio, sono ancora «molto bassi», attestandosi in media tra «il 20% e il 21% per l’Ue nel suo complesso». Per migliorare questi numeri, ha rilanciato la cristiano-democratica tedesca, occorre «non solo una maggiore disponibilità da parte dei Paesi di origine a riprendere in carico i propri cittadini. Ma anche un’applicazione più rigorosa delle decisioni di rimpatrio da parte degli Stati membri». Invocando, infine, la necessità di avere un approccio «congiunto», per affrontare «la migrazione nel suo insieme».