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La nuova “guerra dei poveri” in Africa che influenza l'immigrazione

Nel corso degli ultimi due decenni le relazioni tra la Cina e il continente africano si sono progressivamente rafforzate. Accanto ad un commercio bilaterale in continua crescita, ai copiosi e corposi investimenti cinesi in molteplici Paesi africani e all’inevitabile interesse geopolitico di Pechino per aree e regioni ricche di risorse strategiche (e non solo), bisogna segnalare un fenomeno sociale troppo spesso trascurato. Stiamo parlando del movimento di persone che ha interessato i due player in questione: il Dragone e, appunto, l’Africa.

I numeri sono avvolti nella nebbia ma si stima che vi siano circa 50mila africani in Cina e tra uno e due milioni di cinesi sparsi in 54 Stati africani. La nutrita presenza cinese in Africa, in particolare, è una tendenza che sta continuando a consolidarsi. E non solo a causa delle sempre più numerose aziende cinesi pronte ad inaugurare nuovi progetti edilizi, energetici o infrastrutturali in questo o quel Paese dimenticato da Dio.

Fino a poco fa, per la maggior parte dei cinesi lasciare la Cina per avventurarsi in complicate avventure lavorative in Africa, in un contesto socio-economico arretrato e irto di pericoli – dal terrorismo all’instabilità politica delle autorità locali – era una prospettiva non proprio allettante. Oggi, al contrario, complice un mercato del lavoro raffreddato da un’economia che per tre anni ha subito le inevitabili conseguenze della Zero Covid Policy, e da una disoccupazione giovanile che lo scorso luglio ha raggiunto il 19,9% – il tasso più alto da quando Pechino ha iniziato a pubblicare l’indice nel gennaio 2018 – ci sono sempre più cinesi che scelgono di trasferirsi nel Continente Nero. In cerca di occasioni da cogliere al volo o anche soltanto di un lavoro.



Dalla Cina all’Africa

La situazione è stata spiegata alla perfezione dal sito Six Tone. Emblematico il caso di Zhu Yuying, fresco laureato in Finanza in procinto di entrare nel competitivo mondo del lavoro cinese. Il 24enne ha inviato decine e decine di candidature e partecipato a cicli di colloqui, riuscendo tuttavia a trovare soltanto offerte per posizioni che garantivano magri stipendi iniziali (intorno ai 13mila dollari all’anno).

La svolta è arrivata quando Zhu si è imbattuto, casualmente, in un video sul social cinese Bilibili. Nel filmato, un vlogger suggeriva agli utenti un modo non convenzionale per trovare un lavoro ben pagato: trasferirsi in Africa. Il giovane ha seguito il consiglio e ha così inviato il suo curriculum a diverse imprese statali cinesi operanti nella regione africana. Nel giro di qualche giorno Zhu è stato assunto come assistente finanziario da un gruppo di costruzioni. L’azienda non ha spiegato al ragazzo in quale Paese africano sarebbe stato inviato ma lo stipendio annuo messo sul tavolo – una cifra iniziale pari a 240mila yuan, destinata ad aumentare di decine di migliaia di yuan all’anno – ha convinto il neo laureato ad accettare la proposta a scatola chiusa.

“Ho intenzione di lavorare in Africa per alcuni anni e poi tornare quando l’economia cinese sarà migliore”, ha raccontato Zhu svelando i suoi piani per il futuro. Ebbene, la storia di Zhu Yuying è emblematica del trend che si sta consolidando in Cina: con la disoccupazione giovanile in crescita, milioni di laureati stanno lottando per trovare un lavoro dignitoso e sono pronti ad andare sempre più lontani da casa a costo di riuscire nella missione. Anche in Africa.

In generale, lavorare per un’azienda cinese in Africa presenta degli svantaggi, in primis gravi problemi di sicurezza. In molti Paesi africani, infatti, i lavoratori cinesi passano quasi tutto il tempo confinati all’interno dei complessi dei rispettivi datori di lavoro. Eppure i vantaggi non mancano, a cominciare da stipendi alti, ferie generose e ritmi meno frenetici. Tutti benefici allettanti, soprattutto per la generazione cinese diventata maggiorenne nel bel mezzo della pandemia di Covid-19.

Non è un caso che sui social cinesi i post di consigli su come trasferirsi in Africa si siano moltiplicati. Ma il profilo di chi considera di trasferirsi nel Continente Nero è tuttavia di solito quello di uno studente laureatosi in una delle tante università cinesi escluse dalle circa 100 strutture considerate tra le migliori del Paese.

Conseguenze sull’immigrazione africana

Se da un lato gli investimenti cinesi contribuiscono spesso a migliorare le condizioni dei Paesi africani, dall’altro possono creare le condizioni potenziali per soffocare il talento dei giovani professionisti africani.

Con un crescente numero di agguerriti neo laureati cinesi pronti a giocarsi le loro carte in Africa, per i neo laureati della regione la lotta si fa durissima. È vero che il contesto cambia da nazione a nazione ma, dove la povertà è particolarmente elevata, la presenza cinese potrebbe spingere le popolazioni locali a cercare fortuna altrove. Migrando in un altro Stato africano o in Europa.

Inutile far finta di niente: in Africa i laureati cinesi sono richiestissimi e, considerando che i più grandi investitori nel continente sono aziende cinesi, non è difficile immaginare quali possano essere le dinamiche lavorative.

Nel frattempo il commercio tra Cina e Africa è rimasto solido durante la pandemia. Nel 2021, il commercio totale tra le due parti è salito ad un record di 254 miliardi di dollari, con un aumento del 35% su base annua. Anche gli investimenti cinesi nel continente continuano a crescere in maniera costante. Attirando sempre più giovani lavoratori cinesi.

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