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La Us Navy lancia ancora allarmi. Ed è preoccupata dalla Cina

Gli Stati Uniti non dimenticano la Cina e i militari non dimenticano il fronte dell’Indo-Pacifico. In questi giorni, un articolo scritto da Sam J. Tangredi per il prestigioso Proceedings dello Us Naval Institute ha acceso i riflettori su un dato che interessante: il possibile scontro navale tra Cina e Stati Uniti potrebbe essere deciso dal numero di navi da guerra dei due schieramenti. Un dato, quello numerico, che secondo Tancredi ha quasi sempre deciso le sorti dei vari conflitti combattuti in mare, ma che rischia di essere sottovalutato da una visione che punti sull’elemento tecnologico più che su quello quantitativo.

Sulla questione è intervenuto anche Alessio Patalano, professore al King’s College di Londra, che alla Cnn ha sostenuto la tesi di Tangredi sottolineando che sia superficiale sottovalutare il tema della massa. Questo, a suo dire, vale soprattutto perché nell’ambito di un conflitto navale non si può mettere da parte il fatto che le navi siano affondate, e che dunque l’industria nazionale sia costretta a lavorare per colmare le perdite in un tempo limitato.

Quello che può apparire un discorso puramente accademico è in realtà un tema molto concreto che da tempo attanaglia diversi segmenti del Pentagono, in particolare quelli della Marina. All’interno della Us Navy sono molti a criticare la condizione della flotta, ritenuta spesso deficitaria o obsoleta. E anche se molto spesso questi allarmi vanno letti anche in un’ottica “di parte”, cioè alla luce del desiderio che le risorse vengano allocate per la propria forza armata, la quesitone di una Marina non più all’altezza della sfida è un punto su cui si sono interrogati sia gli ammiragli che gli analisti e gli stessi politici che si occupano di difesa.

Per molti osservatori, le unità di Washington sono state utilizzate troppo negli ultimi anni, gestendo sostanzialmente un impero globale. Per altri, invece, vi sono stati degli errori di valutazione soprattutto per alcuni progetti che – a detta dei più critici – hanno impiegato risorse che andavano invece destinate a problemi più urgenti e più concreti. Altri hanno posto l’accento anche sul personale, ritenuto non adeguato. E gli ultimi incidenti occorsi a diverse unità della flotta Usa, sia di superficie che sottomarina, hanno spesso rappresentano i campanelli d’allarme più significativi.

A queste preoccupazioni, si aggiungono le simulazioni di possibili confronti bellici con la Cina, e che sembra non stiano andando affatto come previsto. In parte c’è sicuramente la volontà di evitare toni trionfalistici e di prevedere lo scenario peggiore (anche se non per forza veritiero) per mantenere alta l’attenzione sui rischi di uno scontro, tuttavia non può essere sottovalutato il fatto che, specialmente nel caso di guerra per Taiwan, diverse esercitazioni hanno prodotto risultati negativi per il Pentagono.

L’allarme risuona ancora più significativo soprattutto se messo a confronto con l’impegno statunitense in Ucraina. Si tratta naturalmente di scenari completamente diversi nelle modalità di coinvolgimento delle forze Usa, nell’interesse strategico, così come nel modo in cui si svolge il conflitto. Quello che però per molti osservatori (e molti militari) non è secondario è la difficoltà mostrata dall’industria bellica nel rispettare gli ordini e soprattutto nell’aumentare il carico di lavoro a fronte di impegni improvvisi e urgenti.

Da diverso tempo, il Pentagono ha segnalato come sia difficile, con gli attuali ritmi, soddisfare le richieste dell’esercito di Kiev impegnato in prima linea, già solo nel campo delle munizioni. L’ammiraglio Michael Gilday, capo delle operazioni navali della Marina militare degli Stati Uniti, ha invitato senza troppi giri di parola l’industria americana ad “accelerare i ritmi” e di “dimostrare” di poter fare più di quello che fa. In altre occasioni aveva parlato di una lobby che sponsorizza progetti inutili e di consegne insufficienti e inadeguate. E sempre dalla Marina, è arrivato anche il commento sprezzante di un altro ammiraglio, Daryl Caudle, vertice dello United States Fleet Forces Command, che ha accusato le aziende Usa di non rispettare gli ordini costringendo in sostanza le forze Usa a scegliere se armare le proprie unità o aiutare l’Ucraina. Segnali che indicano la tensione latente nella Difesa statunitense e che rappresentano ulteriori campanelli d’allarme per quello che per Washington rimane ancora il vero problema strategico: la Cina.

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