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L'avamposto italiano tra Israele e Libano

(Naqoura, Libano). La linea di demarcazione tra la parte occidentale di Israele e quella del Libano è una striscia fatta di reti, muri, torri di guardia e macchia mediterranea. Una striscia che arriva fino alle acque del Mediterraneo, con una lunga fila di boe poste a presidio della fragile ma fondamentale demarcazione delle acque libanesi e israeliane raggiunta dopo lunghe trattative.

A bordo degli elicotteri della Task Force ITALAIR, la “Blue Line”, la linea di separazione dei due Paesi (non ufficialmente un confine) appare una lunga divisione tra due mondi fisicamente a pochi metri l’uno dall’altro, ma che potrebbero sembrare distanti anni luce. Da una parte la terra brulla e ferita del Libano, con greggi di capre che si muovono non lontano dai campi minati, le case sparse in piccoli paesini dello stesso colore del terreno. Dall’altra parte Israele, con i bacini idrici colmi d’acqua, i campi coltivati, l’ordine degli insediamenti e dei kibbutz a ridosso del fronte. In mezzo a questi due mondi, i contingenti di UNIFIL lavorano per far sì che la fragile tregua tra i due Paesi continui fino a diventare una vera pace. Migliaia di caschi blu sorvegliano ogni giorno questa linea, tra cui circa 1300 militari italiani.

Israele continua la sua opera di realizzazione di un muro di diversi metri che dovrebbe chiudere, in futuro, tutta la linea di “confine”. Le forze armate libanesi osservano tutto dalle torri di guardia. Gli scontri su qualsiasi tipo di violazione della “Blue Line” possono esplodere anche per un’inezia: uno scavo di pochi metri, l’ingresso di un animale, un movimento sospetto. Anche una discussione tra due “dirimpettai” può costringere i militari Unifil a intervenire prima che degeneri e subentrino forze irregolari o regolari.

È qui, su un’altura di alcune centinaia di metri fatta di pietre e arbusti, circondata dai campi minati e a ridosso della barriera realizzata dagli israeliani, che si trova uno dei più importanti avamposti italiani: la base Unp 1-31. Dopo gli attenti controlli dei contingenti Onu e delle Laf (Lebanese Armed Forces), la base si raggiunge percorrendo una lunga strada sterrata battuta dal vento. Lungo il percorso, alcune bandiere cinesi segnalano che ora è il contingente di Pechino – sempre in ambito Onu – a lavorare allo sminamento dell’area.

Con un perimetro di alcune centinaia di metri, la base si presenta come una sorta di “Fortezza Bastiani” de “Il deserto dei Tartari”. Un avamposto che serve a monitorare la fragile tregua tra Israele e Libano, gestire i pattugliamenti e i controlli lungo la Blue Line. I militari italiani di Unp 1-31, inquadrati in un plotone, sono di stanza in un perimetro di poche centinaia di metri fatto di cemento armato, torrette di osservazione, bunker e alcuni container per gli alloggi e i momenti di svago. Agli ordini del capitano Carlo Scaglia, i ragazzi del contingente italiano a base Folgore monitorano che la calma che si vive lungo il fronte non sia solo apparente. Alla sua seconda esperienza in Libano cinque anni dopo la prima volta, per Scaglia il senso di calma che si vive nell’area “non è casuale, ma una conseguenza dell’azione dei militari Unifil”.

Dall’altana presso uno degli angoli del muro difensivo, i soldati godono di un ottimo punto di osservazione: verso il Libano, tra i vari insediamenti, si può vedere Alma ash Shab, piccolo centro cristiano circondato dagli alberi. A ovest si scorge il mare. A sud, verso Israele, l’occhio si posa su Hanita, Rosh Hanikra, Shelom. Guardando più lontano, nelle giornate di cielo terso, si possono scorgere distintamente anche Haifa, con le navi vicino al suo porto, e più a est il monte Hermon. A est prosegue la Blue Line. Sotto, il muro israeliano, il T-wall, si è arricchito di telecamere e sensori in grado di controllare ogni movimento sospetto, in particolare qualsiasi tentativo di infiltrazione di membri di Hezbollah o di altre milizie libanesi. A qualche centinaio di metri, l’estremo punto di guardia di Op-Lab è un presidio immerso nel nulla di 200 metri quadrati che si addentra attraverso un sentiero fino a una vecchia torre di guardia delle forze libanesi.

Se la guerra è un ricordo, pur non così lontano, il merito è anche di quei contingenti che ogni giorno pattugliano il confine evitando la deflagrazione delle tensioni. Non è un compito semplice: la pace, come spiegava Scaglia, non è una condizione precedente ma il prodotto del lavoro svolto da Unifil. A Unp 1-31, dove le bandiere dell’Italia e delle Nazioni Unite sventolano insieme, sanno che non si può né si deve abbassare la guardia. Gli equilibri in gioco sono tantissimi. La pace è un concetto fragile e molto spesso fumoso, specialmente in un Libano paralizzato da una crisi sistemica e con Israele che fronteggia le sue difficoltà interne e si sente accerchiato. Gli incidenti, specialmente nel settore est, sono una costante. A ovest la situazione appare più stabile, ma il rischio di un “contagio” non è da escludere.

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