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Meloni, il signorsì Usa fa saltare l’Europa

NOSTALGIA DA GUERRA FREDDA – Cerca di unire il filo-atlantismo di matrice Msi, l’ostilità verso Pechino e il sovranismo militarista. Una bomba a orologeria piazzata nel cuore del Vecchio continente […]

(DI GAD LERNER – Il Fatto Quotidiano) – “Gli Stati Uniti e l’Italia hanno in comune profondi valori e interessi democratici e noi non riteniamo che i comunisti condividano tali valori e interessi”, si leggeva in una nota diramata a Washington dal Dipartimento di Stato; testo che si concludeva ingiungendo ai leader dei partiti italiani considerati amici degli Usa di “dimostrare fermezza nel resistere alle tentazioni di trovare soluzioni tra le forze non democratiche”.

La data? 12 gennaio 1978. Di fronte all’eventualità che a Roma il Pci di Berlinguer entrasse a far parte di una maggioranza di unità nazionale, l’amministrazione Usa guidata dal democratico Jimmy Carter accantonò ogni precauzione diplomatica e, alla faccia del principio di non interferenza negli affari interni di un Paese alleato, ricorse al veto esplicito e minaccioso. Ritrovo quel documento nel libro di Miguel Gotor Generazione Settanta (Einaudi). Noi sappiamo che allora la Democrazia Cristiana di Moro, Zaccagnini e Andreotti, pur con molte esitazioni, scelse di disobbedire a Washington. Confidavano di vivere nel tempo del disgelo fra i blocchi, non più della Guerra Fredda.

I comunisti oggi non ci sono più. Ma in compenso la nostra presidente del Consiglio, da quando è in carica, esibisce con speciale zelo da neofita la sua lealtà agli Usa e, da nostalgica della Guerra Fredda, le piace insinuare che nelle file dell’opposizione agiscano pericolosi emissari filocinesi. Fateci caso. Se deve motivare il suo no alla direttiva Ue che limiterebbe al 2035 la produzione di automobili a combustione fossile, subito aggiunge che dobbiamo sbarrare il passo all’“elettrico cinese”. Nelle prime interviste dopo la vittoria elettorale ha fatto sapere che non rinnoverebbe l’adesione italiana alla Via della Seta con Pechino. Martedì scorso al Senato, poi, l’ha messa giù dura: “La posizione del governo non è per un avvicinamento alla Cina e un allontanamento dalla Nato”.

Si capisce che Meloni ha necessità di vincere l’iniziale diffidenza di Biden, dovuta al sostegno da lei ribadito a Trump perfino dopo l’assalto al Campidoglio. Così come deve far dimenticare l’affinità ideologica con Putin che mise per iscritto prima dell’invasione dell’Ucraina. Le cancellerie, si sa, hanno la memoria più lunga dei giornali italiani. Ma è proprio sulla memoria lunga delle amministrazioni Usa che la leader della destra italiana confida per rassicurare gli Usa della sua fedeltà atlantica: la corrente filoamericana si è radicata nel Msi fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso, quando Washington decise di affidarsi ai post-fascisti integrati nei vertici delle forze armate e dei servizi segreti italiani per utilizzarli in funzione anticomunista, ricorrendo anche a metodi poco ortodossi.

Ora che di nuovo soffiano venti di guerra, flotte aeree e marittime solcano i nostri cieli e i nostri mari sempre più minacciose, e le politiche di riarmo vengono imposte come priorità assoluta ai Paesi della Nato, ebbene, si avvicina il momento della verità: come si comporterà l’Italia governata dalla destra?

Sembra proprio che non ci siano dubbi. È sempre più ardua la scommessa di far coincidere ancora a lungo disciplina atlantica e progetto di integrazione europea dentro a un campo occidentale sempre più ristretto. Scricchiola un sistema di alleanze fino a ieri considerato infrangibile. Arabia Saudita e Iran ristabiliscono relazioni diplomatiche sotto l’egida di Pechino. Il celebrato Patto di Abramo stipulato fra Israele e le petromonarchie del Golfo si rivela scritto sulla sabbia. Turchia e lo stesso Israele non applicano l’embargo imposto contro la Russia, preferendo tenersi le mani libere fra Washington e Mosca.

Ma è soprattutto nel cuore della vecchia Europa che non tarderà a manifestarsi un effetto disgregatore di cui ignoriamo ancora la portata, e di cui si avvertono i primi sintomi. Con la Polonia e il Regno Unito che si sono sganciate da Bruxelles scegliendo unilateralmente di rifornire l’Ucraina di aerei da combattimento e di proiettili a uranio impoverito. Mentre Francia e Germania non rinunciano a cercare un equilibrio multipolare che mantenga Xi Jinping fra i suoi garanti, confidando sul potere di soggezione che la Cina è in grado di esercitare sulle mire imperiali di Putin. Dopo il viaggio del cancelliere Scholz a Pechino del novembre scorso, ora è Macron ad annunciare un’analoga missione nella capitale cinese in aprile. E lo fa subito dopo l’incontro fra Xi e Putin a Mosca, incurante della contrarietà americana. Cosa ne pensa Meloni? Anche Scholz e Macron sono colpevoli di “avvicinamento alla Cina”?

Dopo avere ribadito in Parlamento che dobbiamo rassegnarci a una lunga guerra di logoramento in Ucraina, Giorgia Meloni è volata al Consiglio europeo di Bruxelles esibendo il suo cipiglio sovranista: “Preferisco dimettermi piuttosto che andare in Europa a prendere ordini, come fece Giuseppe Conte con la Merkel”. Si riferiva piuttosto al Patto di Stabilità, alla transizione ecologica e alle scelte sui migranti, è vero, ma è anche a causa della sua tetragona opzione atlantista filo-Usa che entra in rotta di collisione con Francia e Germania.

Per come si delinea la nostra futura politica estera, prepariamoci a vedere un’Italietta che scimmiotta il militarismo di Polonia e Regno Unito, senza peraltro averne i mezzi. Ne conseguiranno probabilmente curiosi rimescolamenti interni sia nella destra che nella sinistra degli attuali schieramenti parlamentari. Ma una cosa è sicura: in tempi di escalation militare sarà certo possibile essere insieme sovranisti e atlantisti – come per l’appunto Regno Unito e Polonia – ma non certo tenere il piede in due staffe fra sovranismo ed europeismo. Un’Italia supinamente filoamericana rischia di costituire un pericoloso fattore di disgregazione del progetto di integrazione europea, non certo di esercitare un velleitario tramite di connessione fra europeismo e atlantismo. Far coincidere queste due appartenenze, come invano predicato da Draghi e dal Pd di Letta, si rivelerà sempre più arduo. E comunque non sarà la destra oltranzista di Giorgia Meloni a farsi portatrice di un simile progetto. Lei aspetta solo il ritorno di Trump alla Casa Bianca, e intanto spera che i risultati elettorali delle prossime elezioni europee segnino la vittoria dei sovranisti costringendo i Popolari a un’inedita alleanza con i Conservatori. Peccato che un tale malaugurato evento segnerebbe solo l’avvio della disunità europea, fomentando nuovi conflitti nel nostro continente.

La destra nazionalista è un apprendista stregone, affida all’esercizio della forza la salvaguardia degli interessi nazionali, ma non è mai in grado di controllarne gli effetti devastanti.

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