Lettere sul carcere a Sbarre di Zucchero
a cura di Rossella Grasso — 12 Gennaio 2023
L’arresto di un familiare è un evento drammatico che cambia completamente la vita non solo del singolo a cui viene privata la libertà, ma di tutta la sua famiglia. Ed è questo che racconta L., moglie di un detenuto in una lettera. Trovare un lavoro è difficile: pesa non solo lo stigma di avere un marito detenuto ma anche l’impossibilità di avere un giorno libero “a scelta del carcere” per andare ai colloqui. E decidere di non vedere il proprio marito pur di lavorare è davvero dura. L. racconta che il marito è stato arrestato dopo 6 anni di processi: in quei sei anni la vita di un uomo e della sua famiglia può essere radicalmente cambiata. Ad esempio L. e suo marito M. avevano aperto la partita iva e lavoravano da libero professionisti. Stavano anche provando ad avere un figlio dopo essere ricorsi a un percorso di fertilità perchè la coppia aveva alcuni problemi per cui il tanto desiderato figlio non arrivava da solo. Un percorso difficile che la coppia aveva intrapreso ma che con l’arresto del marito avevano dovuto bruscamente interrompere. E il giudice non ne ha voluto sapere di dare all’uomo permessi per continuare il percorso. Per L., per motivi di età, era l’ultimo anno in cui poteva provarci. Riportiamo di seguito la lettera di L. a Sbarre di Zucchero.
Salve sono L., la moglie di M., detenuto adesso in carcere. Noi stiamo insieme dal 2009 e sposati dal 2016, ed è da allora che combattiamo con la legge in quanto mio marito fu arrestato a novembre di quell’anno per art.73 per poi essere rilasciato in attesa di giudizio. Ebbene questa magistratura si è svegliata dopo 6 anni per poi richiuderlo con un definitivo di 3 anni, 6 anni nei quali avevamo cambiato vita entrambi, lavoravamo con partita Iva, compra e vendita auto e in più stavamo facendo un percorso di fertilità per avere un figlio, perché per problema fisico non arrivava da solo.
Quel giorno in camera di consiglio gli venne rigettato tutto, sia lavorativi e sia domiciliari, dicendo che il lavoro nostro non andava bene perché il padrone di sé stesso era mio marito e il secondo lavoro (che nel frattempo gli avevo trovato) uno dei datori del lavoro aveva precedenti che noi purtroppo non sapevamo. E da lì è cominciata la nostra odissea; l’hanno sbattuto in carcere per 7 mesi, li abbiamo fatto istanze anche fatte dai dottori del Pertini di Roma per far portare mio marito per proseguire il percorso di fecondazione assistita, dato che era l’ultimo anno che potevamo fare un figlio perché io ho 43 anni.
All’ospedale hai il limite di età e sia perché io da sola con l’altra mia figlia non ce la facevo, ho cominciato a cercare lavoro ma nessuno mi voleva dare quel giorno a settimana giustamente deciso da me perché al carcere non puoi far come ti pare i giorni te li danno loro per andar a trovare la persona amata quindi vado in nero a pulire le case e tutto quello che trovo da fare pur che mi lasci quel giorno per andar da mio marito. Mio marito è forte, ma con me… non posso permettermi di saltare un colloquio, anche dopo tutti i suicidi che si sentono. Io mi sveglio e mi addormento col pensiero di mio marito e nel frattempo mi sto ammalando. Fuori la mia vita si è fermata, non riesco a capire perché il magistrato non ascolti, le persone nel carcere non sono tutti uguali e ci sono persone veramente cambiate.
Vogliono che uno cambi poi cambi ma uguale ti ributtano in carcere. Sei emarginato dalla società perché tanto hai sbagliato, ma non vedono che cerchi di recuperare e allora penso che allo Stato va bene così. Ma come si fa? Dentro al carcere la spesa costa il doppio di fuori, lavoro per i detenuti non c è… per non parlare di tutto ciò che manca lì dentro, io prego solo Dio che mi dà la forza perché è veramente tutto duro, stare dietro a mia figlia che non riesce a trovare lavoro, dietro a mia suocera che sta male e tutti i problemi dietro… e sono demoralizzata al massimo, spero di essermi spiegata bene o male, voi portate un po’ la voce delle persone detenute e spero proprio che qualcuno, finalmente, ci ascolti.
a cura di Rossella Grasso
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