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Rosa Bronzo, la terribile storia dell’“ammazzabimbi”: la serial killer di neonati di Vallo della Lucania – Il Riformista

Ricostruita la vicenda perduta nella memoria avvenuta nel Cilento a metà ‘800

Elena Del Mastro — 15 Febbraio 2023

Rosa Bronzo, la terribile storia dell’“ammazzabimbi”: la serial killer di neonati di Vallo della Lucania

Storie inquietanti di assassini dall’800 ne arrivano tantissime. Prendono più il sapore di leggende, eppure hanno fatto parte della cronaca come Mary Cotton Annie, la killer britannica che uccise 21 persone con l’arsenico a metà ‘800. E anche in Italia, nello stesso periodo, precisamente nel Cilento c’è stato un personaggio dello stesso calibro: si chiamava Rosa Bronzo, e a restituire la sua storia alla memoria è stato Giuseppe Galzerano che ne ha ricostruito la storia in un libro a partire da quanto scrissero i giornali del tempo. La chiamavano “L’ammazzabambini di Vallo della Lucania”, nome che dà il titolo al libro. Di lei pararono le cronache non solo in Italia ma anche all’estero.

La vicenda è collocata nel poverissimo Sud Italia del 1878, in un Cilento che verte in condizioni di drammatica miseria. A Vallo della Lucania vive Rosa Bronzo, ha 47 anni e presto finisce in carcere a Napoli per furto. Ha provato anche ad essere una sorta di “collaboratrice di giustizia” della prima ora, proponendo rivelazioni sul brigante Michele Notaro di Pollica in cambio di uno sconto di pena. Secondo quanto riportato nella storia narrata dal Corriere della Sera, non venne ritenuta però affidabile. Viene scarcerata per insufficienza di prove.

È l’8 ottobre 1877 quando il Roma dà notizia di un caso di figlicidio: “A Vallo (Salerno) la contadina Rosa Bronzo, sgravatasi il 28 settembre ultimo di un bambino, lo strangolò barbaramente, aggiungendo al disonore l’infamia”. Per poi ritornare sul caso pochi giorni dopo spiegando che la donna non ebbe mai figli ma che “dava ad intendere ai suoi concittadini che adempiva al pietoso ufficio di raccogliere i neonati ripudiati dai loro genitori per recarli all’ospizio dei trovatelli in Salerno”. La verità era un’altra: i bambini affidategli da mamme che non potevano tenerli venivano raccolti da Rosa che in cambio di denaro se ne disfaceva dicendo che li avrebbe portati all’orfanotrofio. Ma lì non arrivarono mai: “le indagini sulla condotta della Bronzo giunsero ad assodare che certo avea soffocato un bambino nel forno di sua casa, ed un altro cadavere di bambino in putrefazione fu trovato nel fondo di un sotterraneo della medesima casa”.

Solo un anno dopo i giornali parlavano di “strage di bambini” e dell’uso di oppio per far tacere i piccoli che piangevano continuamente. Furono trovati in un sottoscala teschi e resti dei bambini. Una mamma riconobbe un pannolino in cui aveva avvolto il bambino. Ma Rosa Bronzo si dichiarò innocente. Disse che non sapeva niente di quei cadaveri, che era vittima di calunnie e denunciò un testimone. La stampa nazionale e internazionale iniziò a parlarne definendola anche “fabbricatrice di angeli”.

“Rosa Bronzo – c’è scritto sul Corriere della Sera del 29 dicembre del 1879 – esercitava il mestiere di raccogliere in casa sua una quantità di neonati illegittimi per spedirli poi nella casa di maternità di Salerno, dietro determinato compenso. La perversa donna faceva morire d’inedia i bambini, o con libazioni profuse di papavero, e taluni anche li strozzava. Si narra che circa trenta di queste creature furono a lei consegnate dal 1875 fino a tutto il 1877, e quasi tutte furono sottoposte a quello strazio per causa di lucro”. La donna fu condannata ai lavori forzati a vita. Poi nulla più, e la memoria di fatti così agghiaccianti si perse nel tempo.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

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