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Tre anni di Brexit: la realtà smentisce le previsioni catastrofiche degli eurogufi – Marco Hugo Barsotti

Sono ormai passati più di sei anni dal referendum sulla Brexit, quasi tre da quando, ufficialmente il primo febbraio 2020, il Regno Unito ha abbandonato l’Unione europea.

Un’uscita che molti avevano previsto avrebbe affossato il Regno Unito, tutt’ora la seconda economia d’Europa dopo la Germania e prima di Francia, Italia, Russia e Spagna. È dunque il momento giusto per dare un occhio ad alcuni indicatori economici e fare un poco di “reality check”.

Le previsioni dell’Ocse

Ma prima è il caso di rileggere le fosche previsioni che ancora a novembre 2022 venivano emesse dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo internazionale (Ocse), secondo la quale la crescita dello UK dopo il Covid sarebbe in grave ritardo e sostanzialmente inferiore alla media Ue.

Testualmente, “le nazioni del G7, tra le quali l’Italia, hanno visto una crescita cumulativa pari al 2,5 per cento, mentre il Regno Unito ha visto una flessione dello 0,2 per cento quarter su quarter”, che significa paragonare luglio-settembre 2023 con aprile-giugno sempre del 2023.

Giusto per mettere le cose in prospettiva, sempre ammesso che paragonare due trimestri in questo modo abbia un senso, l’Italia sarebbe andata molto meglio crescendo dello 0,5 per cento a fronte di una media europea dello 0,3 per cento e di un +0,4 per cento della Germania.

Resta da vedere quale sia l’errore percentuale di queste rilevazioni. Come avevamo già sottolineato nel caso delle previsioni del Fondo Monetario Internazionale, l’errore di queste stime è spesso di un ordine di grandezza superiore, nel caso dell’Italia era infatti di circa il 2,5 per cento.

Ecco dunque cosa prevede l’Ocse per lo UK: dopo una crescita nel 2022 pari al 4,4 per cento si annuncia una decrescita dello 0,4 per cento nel 2023 e un magro +0,2 per cento nel 2024. Potete divertirvi ad analizzare l’andamento altalenante previsto per il nostro Paese qui. Personalmente interpretiamo tutto come “non ne abbiamo la minima idea”.

Metodologia

È infatti possibile andare a vedere la metodologia con cui si giunge a queste previsioni qui. Noi ci limitiamo a riportare questa affermazione: “questi indicatori statistici sono limitati nella loro capacità di previsione della crescita e anche con tutti i dati a disposizione la banda di confidenza del 70 per cento in ciascuna previsione di crescita del Pil è tra 0,4 e 0,8 punti percentuali”.

Poco chiaro? No problem, ecco la spiegazione di ChatGPT: “Questa frase afferma che le stime di Pil in un determinato quarter hanno il 70 per cento di probabilità di essere comprese in un intervallo di 0,8 per cento rispetto a quelle dichiarate”.

Quindi stanno affermando di essere sicuri al 70 per cento che nel 2023 il Pil dello UK si attesterà tra –1,1 per cento e il + 0,4 per cento (e dell’Italia tra il –0,6 e il +1 per cento). O, a voler essere più corretti, nel 70 per cento dei casi in cui si effettua questa previsione risulta vero che il Pil dello UK si attesterà tra il –1,1 e il +0,4 per cento.

E se volessimo chiedere quale range prevedono con una confidenza del 95 per cento (e non del 70 per cento, che ci sembra poco)? Non c’è scritto, non lo sappiamo.

Il confronto con la realtà: il Pil

Ed eccoci al nostro reality check su dati di consuntivo. Questo il confronto tra le prime quattro economie europee in termini di prodotto interno lordo (nominal GDP espresso in miliardi di dollari).

Facile osservare come il Pil del Regno unito sia aumentato del 28 per cento tra il 2020 e il 2022, il tutto mentre la Germania saliva solo del 13 per cento e l’Italia dell’11 (effetto “Draghi”).

La Sterlina

Veniamo al tasso di cambio. Abbiamo messo a confronto il valore della divisa inglese (GPB, detto anche lira sterlina) con il dollaro Usa (in verde) e quello dell’Euro (in blu) sempre con il dollaro Usa:

Per chi volesse fare confronti puntuali, consigliamo di installare Wolfram Engine (è gratuito). È possibile così conoscere il cambio ad un giorno specifico, ad esempio il 31 dicembre 2022. Per l’ultimo giorno dell’anno scorso otterrete 1,2035, cioè con un Pound avreste potuto acquistare 1,2 dollari (ma con un euro solo 1,06).

Big Mac Index

Tutto bene, ma questi valori dipendono dalla storia del Pound rispetto al dollaro, in sé non sono significativi, direbbe qualcuno. Usiamo allora l’indice di un hamburger, il Big Mac Index.

L’indice Big Mac è stato inventato dall’Economist nel 1986 per capire se le valute sono al loro livello “corretto”. Si basa sulla teoria della parità dei poteri d’acquisto (PPP), secondo la quale nel lungo periodo i tassi di cambio dovrebbero orientarsi verso il tasso che equipara i prezzi di un identico paniere di beni e servizi in due Paesi qualsiasi.

In altre parole, il vero valore di una moneta si otterrebbe capendo quanto vale rispetto ad un determinato bene che si ritiene indispensabile, come l’hamburger (e qui, ci rendiamo conto, si rischiano le ire di Greta). Ecco dunque il confronto:

Un Big Mac costa il 6,8 per cento meno in Inghilterra rispetto al costo medio in Europa. Full stop.

Indici di Borsa

Gli indici di borsa, quali il FTSE e il FTSE MIB, ci indicano nominalmente il valore delle azioni di un certo basket di società, ma nella sostanza la ricchezza potenziale generata nel futuro dalle società quotate, in definitiva quanto sia positivo l’avvenire se visto dagli occhi “del mercato”.

Ecco dunque il paragone tra l’indice inglese, celeste, e quello italiano, violetto: +7,65 per cento rispetto ad un +10,81 per cento. Smettiamo una buona volta di deprimerci e di partire dal presupposto che siamo in un’eterna crisi, classico metodo usato dai governanti per farci digerire le loro geniali trovate (per lo più tasse e complicazioni eco-sostenibili).

Non male

Cosa concludiamo dunque? Ci verrebbe da dire che nonostante l’uscita dall’area euro e due anni di caos sanitario e politico, l’economia inglese proprio tanto male non stia. Ma proprio “nonostante”?

Forse, come dimostra il caso del Belgio, se non ci sono governanti (o se questi non sono stabili) le cose tendono ad andare meglio di quando ci sono politici al potere, sempre pronti ad intralciare il libero mercato con la loro passione interventista.

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