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Uk, Australia, Usa: la cintura che strozza la Cina (e la Russia)

Impossibile pensare di arginare la Cina da soli. Tanto più nell’Indo-Pacifico, dove la penetrazione economica di Pechino è ancora – e, nei piani di Pechino, lo sarà per tanto altro tempo a venire – in grado di raccogliere ampi consensi, persino tra i partner più fidati degli Usa.

È partendo da questo semplice ragionamento che si può delineare la strategia di contenimento cinese degli Stati Uniti. Una strategia che, per l’importanza dell’avversario, non poteva limitarsi alla sola regione indopacifica ma che doveva, giocoforza, essere pensata a livello globale.

E così è stato, visto che la cintura di alleanze ideata da Washington per strozzare la Repubblica Popolare Cinese (e, di fatto, anche la Russia) circumnaviga l’Asia, ma parte da lontano. Da due estremità situate rispettivamente in Europa e America, e coincidenti con Regno Unito e, appunto, Stati Uniti.

In mezzo, a chiudere il semicerchio, troviamo l’Australia, sempre più centrale per bilanciare la Power Projection della Cina a cavallo tra l’Oceano Indiano e il Pacifico. E poi, a corroborare il tutto, ecco il recentissimo e storico disgelo tra Corea del Sud e Giappone per mettere ulteriore pressione al Dragone nel suo “cortile di casa”.

Tassello dopo tassello, gli Stati Uniti hanno riesumato il loro vecchio sistema di alleanze, partorito all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, con l’intenzione di adattarlo al presente. Anche perché non c’è più Tokyo da tenere a bada, bensì una Cina in versione XXL arrivata a mettere in discussione la leadership globale americana e il suo ordine mondiale.

Il triangolo Usa-Uk-Australia

Dunque, per mitigare l’esuberanza cinese, ecco il primo strumento a disposizione degli Stati Uniti: l’accordo Aukus, negoziato in gran segreto durante la primavera e l’estate del 2021, che ha dato vita ad un patto tripartito tra Usa, Regno Unito e Australia, volto alla condivisione della tecnologia militare e dell’intelligence tra i partecipanti.

In particolare, uno degli obiettivi consiste nel dotare Canberra di sottomarini a propulsione nucleare grazie al trasferimento di tecnologia britannica e americana, tra cui le tecnologie di propulsione nucleare, il design dello scafo e varie armi, compresi i missili da crociera a lungo raggio. Allo stesso modo, l’intesa faciliterà lo sviluppo di nuove tecnologie avanzate.

L’esigenza dell’Australia di munirsi di deterrenti simili è nata nel 2015, quando la Royal Australian Navy ha accettato di procurarsi 12 sottomarini diesel da Naval Group, una compagnia di difesa francese, che le avrebbe fornito un modesto miglioramento delle capacità. Da allora, il governo australiano è diventato sempre più turbato dalle mosse geopolitiche della Cina di Xi Jinping, considerate una minaccia alla sovranità del Paese e al diritto di autodeterminare i propri affari. Alla fine, ufficialmente per esigenze economiche e strategiche, l’Australia ha tuttavia cancellato il contratto con Parigi per rivolgersi a Uk e Usa.

Il risultato finale è che se per la Gran Bretagna AUKUS è carburante in grado di animare la “Global Britain” – l’idea secondo cui il potere britannico dovrebbe essere utilizzato attivamente nel perseguimento di un ordine nell’Indo-Pacifico – mentre per gli Usa rappresenta un ottimo deterrente da usare in chiave anti cinese.

Non solo: l’accordo può contare su un precedente e strettissimo rapporto esistente tra i tre partecipanti. La capacità di Australia, Regno Unito e Stati Uniti di interoperare e scambiare forze tra loro è forse la più estesa al mondo, ed è figlia di accordi di spin-off terrestri, navali e aerei poco conosciuti e informali nell’ambito dei Five Eyes, un’alleanza di sorveglianza e di cooperazione congiunta in materia di intelligence che comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti.

Per il Regno Unito, inoltre, AUKUS si basa sull’accordo di difesa del 2013 stipulato con l’Australia, che ha consentito il trasferimento di tecnologia militare tra i due partner.

Strozzare Pechino nell’Indo-Pacifico

Basta dare un’occhiata ad una qualsiasi mappa per capire come AUKUS nasca per “triangolare” il potere tra tre nodi geostrategici: le isole britanniche, il Nord America e l’Australia.

L’accordo estende poi all’Australia la tecnologia e le risorse che altrimenti non avrebbe, rendendo Canberra perno centrale nella strategia statunitense di contendere l’Indo-Pacifico alla Cina. Attraverso AUKUS, inoltre, il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno dimostrato di poter scoraggiare ogni possibile azione di Pechino, non solo inviando le proprie risorse strategiche nell’Indo-Pacifico, ma anche rafforzando partner e alleati regionali per competere direttamente con il Dragone nella regione.

Non basterebbero, però, soltanto tre vertici per concretizzare questa complicatissima strategia. Lungo le tre direttive citate – e cioè Uk-Australia, Australia-Usa e Usa-Uk – troviamo molteplici punti di appoggio, basi americane o più semplicemente hub militari, che consentono ai tre attori protagonisti dell’accordo di rendere più efficace la loro missione.

Da questo punto di vista, tra le strutture o presenze militari più importanti troviamo quelle di Plymouth, Portsmouth e Faslane, nel Regno Unito, dalle quali si dipanano due direttive immaginarie. La prima taglia Gibilterra (altro nodo Uk), penetra nel Mar Rocco e fa leva su Duqm e Bahrain, per poi proseguire nell’Oceano Indiano dove troviamo l’isola britannica di Diego Garcia, roccaforte di Londra e Washington. La seconda direttiva parte dalla citata Faslane, attraversa l’Artico lambendo l’Alaska per poi tuffarsi nel Pacifico.

Parallelamente, troviamo un tentacolo che collega tre importanti basi Usa: San Diego, Pearl Harbour e Apra Harbour. Il terzo vertice chiama in causa l’Australia, che offre ai partner angloamericani la Fleet Base West e la Fleet Base East, una sulla costa occidentale e l’altra su quella orientale. Canberra mette inoltre sul tavolo diversi potenziali punti di stazionamento per i futuri sottomarini nucleari, come Gladstone, Brisbane, Newcastle, Jervis Bay e Western Port Bay.

Per completare il quadro dobbiamo citare la rilevanza di Giappone, Corea del Sud e Taiwan, con i primi due Paesi che offrono basi d’appoggio agli Usa e l’isola contesa che rappresenta una spina nel fianco di Pechino.

L’ “arcipelago dell’impero”

In ogni caso, se AUKUS ha cambiato la posizione strategica dell’Australia, anche gli Stati Uniti hanno modificato il loro modus operandi. Dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, Washington ha proiettato il suo potere in tutta la regione indopacifica attraverso quello che lo storico Bruce Cumings ha definito un “arcipelago dell’impero“.

In questo termine rientrano le basi insulari che vanno dalle Hawaii a Guam, e che comprendono, tra gli altri hub, Okinawa in Giappone e, nell’Oceano Indiano, Diego Garcia , affittato dalla Gran Bretagna (senza il consenso dei suoi nativi). Nell’Australia, inoltre gli Stati Uniti hanno trovato una sorta di base rafforzata di dimensioni continentali per consolidare le proprie operazioni in Asia, nonché un alleato rinvigorito da coinvolgere nel contenimento cinese.

Resta da capire se AUKUS resterà un accordo esclusivo o se sarà soltanto il primo passo di un riassetto sistemico della geopolitica angloamericana nell’Indo-Pacifico. Nonostante non sia un’alleanza formale, infatti, AUKUS è comunque un centro di gravità geopolitica basato su importanti interessi condivisi tali da attirare altre potenze regionali.

Come ha sottolineato il think tank Council on Geostrategy, altri partner dei Five Eyes, ad esempio Canada e Nuova Zelanda, potrebbero essere coinvolti. Così come il Giappone che, in virtù del recente avvicinamento con Regno Unito e Italia, ha diverse cartucce da spendere.

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