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Autostrade, alta velocità: una visione futurista tra economia ed ecologia | CulturaIdentità

Quando è avvenuto nella nostra storia quel momento in cui l’Italia ha rinunciato al futuro? Se guardiamo alla fase ascendente della storia dello Stato unitario davanti ai nostri occhi si illuminano le stelle dei grandi inventori: Meucci, che sperimenta la telefonia, Marconi che lancia il primo segnale radio da una sponda all’altra dell’Adriatico, Enrico Fermi pioniere dell’energia nucleare. Certo, già con Marconi qualcosa si incrina nel rapporto tra il nostro sistema politico e la proiezione futurista alla innovazione tecnologico-scientifica: per seguire il peggiore leader tedesco di tutti i tempi, Adolf Hitler, assimilammo le scorie radioattive della sua selvaggia ideologia del sangue. il risultato fu che perdemmo Enrico Fermi, coniugato con una donna ebrea ed esule negli Stati Uniti. Pochi anni dopo l’Italia divenne un cumulo di macerie per una guerra combattuta in maniera dissennata. Eppure due grandi pionieri dell’innovazione aeronautica, Gabriele d’Annunzio e Italo Balbo, avevano messo in guardia chi di dovere nella scelta delle alleanze e delle opzioni belliche… Si può allora ipotizzare che la sconfitta nella seconda mondiale abbia rappresentato il momento del ripiegamento sul passato? No, perché l’Italia rinata del dopoguerra, sia pur con governi che cadevano in media ogni undici mesi, si risollevava e riprendeva il testimone della innovazione. Al giro di boa degli anni Sessanta, l’Italia lanciava un suo satellite di telecomunicazioni e grazie all’ingegnere napoletano Felice Ippolito faceva un grande balzo in avanti nel campo del nucleare civile. Intanto Olivetti era pioniere nell’informatica, Bialetti con la sua macchina del caffè portava le forme del futurismo nelle case degli Italiani. Certo, già nel clima di boom economico cominciavano a prendere forza quei soggetti che in nome di una critica ideologica al capitalismo cercavano di tarpare le ali ad un paese voglioso di modernizzazione. Ricordiamo cosa dicevano gli intellettuali e i politici di sinistra riguardo alle autostrade? Non servivano, non avrebbero avuto utenza, erano un inutile spreco “plutocratico” che dissipavano quel denaro pubblico che avrebbe potuto essere impegnato nel miglioramento delle strade provinciali! Fortuna che il dinamico peperino Amintore Fanfani marciò dritto, quasi con il passo dei suoi venti anni, e varò la grande Autostrada del Sole. I gufi di sinistra furono smentiti in pieno. La grande opera autostradale “creava” i suoi utenti: una volta inaugurata, milioni di macchine si riversavano sulla grande arteria di comunicazione per lavoro e per divertimento, per ricongiungere le famiglie da Nord a Sud e per godere appieno le meraviglie del Belpaese. Il futurismo aveva vinto sul passatismo, ma non lo aveva mandato in pensione. Le stesse argomentazioni contro lo sviluppo autostradale si sono risentite dopo il Duemila contro i treni ad alta velocità: sia quelli nazionali, sia quelli continentali. Perché fare percorsi ad alta velocità invece di migliorare i treni regionali? Il benaltrismo ha sempre la battuta pronta ed è una battuta stupida perché pone inutilmente in contrapposizione grandi progetti strategici (come il Corridoio continentale V che passa per la Val di Susa e arriva in Ucraina oppure l’idea di una grande valorizzazione del Sud Italia grazie al combinato alta velocità ferroviaria-ponte di Messina) con la ordinaria e ovviamente necessaria manutenzione… I nemici della innovazione ferroviaria invocano adesso le ragioni della ecologia, ma in realtà l’ultimo rapporto annuale del Centro Studi ALIS (Associazione Logistica dell’Intermodalità Sostenibile) dimostra con numeri inequivocabili che il potenziamento delle grandi percorrenze ferroviarie fa bene all’ambiente, genera un esonero di emissioni di carbonio, quindi va incontro a quella che è una delle esigenze più invocate nei nostri tempi. Si legge nel rapporto dell’ALIS elaborato in collaborazione col centro studi del Gruppo Intesa San Paolo, con l’Università degli Studi Roma Tre e l’Università degli Studi di Napoli Parthenope: “circa 45 mln di tonnellate sono state spostate dalla rete stradale a quella ferroviaria abbattendo le emissioni di CO2 per 1,6 milioni di tonnellate, per un trasferimento complessivo di 4 milioni di camion spostati dalla strada per oltre 98 mln di tonnellate spostate abbattendo così le emissioni di CO2 per circa 3,8 mln di tonnellate”. Numeri pesanti, più pesanti dei camion che per decenni hanno percorso le nostre strade (anche con qualche increscioso incidente sempre in agguato dietro la curva). Ma il passatista non ama la matematica e non sente ragioni. Si nutre di ideologia e da qualche tempo aggredisce, sabota, minaccia di morte. Da quando il terrorismo (principalmente di sinistra) ha smarrito ogni possibile chiave di lettura della realtà sociale esso si è riconvertito alla lotta contro le infrastrutture. La tecnica di guerriglia e di intimidazione si è coniugata al “No” più ottuso pronunciato contro la volontà di una nazione di tornare ad essere quella dei Meucci-Marconi-Fermi (oltre che dei Mattei, Olivetti, Ippolito…). “Terrorismo anti-infrastrutturale” potrebbe essere definito questo singolare odio per il futuro. E contro questa ideologia dell’odio dobbiamo combattere in nome di un amore per la sperimentazione e l’innovazione. Ora e sempre futurismo!

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