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Crisi economica e migranti: perché la Tunisia preoccupa anche l'Italia

Nell’ultimo Consiglio europeo l’immigrazione ha rappresentato uno dei temi principali affrontati. E questa volta non si è parlato solo della situazione in Libia o della rotta balcanica. Ad emergere è stata anche l’emergenza economico-sociale prossima a far implodere la Tunisia. Il presidente del consiglio Giorgia Meloni, ha spiegato ai colleghi del Vecchio Continente che senza repentini interventi il contesto tunisino potrebbe diventare molto delicato sia per l’Italia e sia il resto d’Europa. Tanto da azzardare l’ipotesi dell’arrivo, da qui ai prossimi anni, di almeno 900mila migranti da questa parte del nord Africa.

Perché la Tunisia rischia di implodere

Il Paese nordafricano più volte è stato considerato come l’esempio più virtuoso della primavera araba. Da qui del resto, tra il dicembre 2010 e gennaio 2011, sono partite le rivolte che hanno prima rovesciato l’ex presidente Ben Ali e poi infiammato il resto del mondo arabo. Ma se in altri contesti le primavere hanno generato caos e guerre civili, in Tunisia a un certo punto si è davvero avviato un nuovo percorso costituzionale. La formazione di un sistema multipartitico, l’introduzione di un sistema politico semipresidenziale dove parlamento e primo ministro hanno assunto maggior potere, hanno contribuito a dare di Tunisi l’immagine di una democrazia quasi compiuta.

Le rivolte del 2011 però non sono scoppiate solo per ragioni prettamente politiche. La popolazione è scesa in piazza perché stremata da condizioni economiche molto delicate. Non a caso le proteste sono esplose quando un giovane venditore ambulante, Mohamed Bouazizi, nella città di Sidi Bouzid si è dato fuoco in piazza a seguito del sequestro della sua merce. Un episodio che ha testimoniato l’insofferenza specialmente dei più giovani, rimasti in molti casi senza lavoro e senza prospettive. Ed è la mancanza di prospettiva oggi il male non curato della Tunisia.

Nell’ultimo decennio a livello economico non è cambiato nulla. Il nuovo sistema politico non ha portato significative variazioni nella vita dei tunisini. Nessun governo è stato in grado, anche per l’estrema litigiosità e il frazionamento dei parlamenti post 2011, di far avanzare riforme. I mali endemici del Paese sono rimasti tali. Questo si è tradotto in mancanza di investimenti, sia interni e sia stranieri, aumento dei problemi di bilancio, stagnazione del quadro economico e crescita dell’inflazione. Oggi, per mandare avanti la semplice attività amministrativa, Tunisi rischia di dipendere unicamente dal piano da due miliardi di Euro di prestiti del Fondo Monetario Internazionale. Prestiti però vincolati a riforme molto dure, in grado di accentuare l’esasperazione della popolazione. I soldi peraltro non è detto che arrivino. E così il lento scivolamento verso il baratro del Paese simbolo della primavera araba appare sempre più come una tragica eventualità.

Le politiche di Kais Saied

Nel 2019 il malcontento ha spinto i tunisini a dare fiducia a Kais Saied. Costituzionalista, candidato indipendente fuori dagli schemi dei partiti, il suo profilo è apparso come quello ideale all’elettorato per portare avanti il Paese. Saied si è scagliato contro la litigiosità delle formazioni politiche e l’incapacità dei governi di prendere seri provvedimenti. Parole che sono apparse subito come una promessa affinché la Tunisia torni ad avere esecutivi più stabili e una forma molto forte di presidenzialismo. E in effetti, dopo aver congelato il parlamento, Saied è riuscito a far passare modifiche costituzionali con cui è tornato a essere prioritario il ruolo del capo dello Stato.

Oggi è lui l’uomo forte al potere. Ma al momento nemmeno le sue decisioni sono servite a invertire la rotta in campo economico. Principale obiettivo di Saied era probabilmente quello di evitare il ricorso ai prestiti del Fmi. Il Covid ha drasticamente ridimensionato le sue pretese: se da un lato il Paese ha gestito meglio rispetto ai suoi vicini l’emergenza sanitaria, dall’altro ha assistito all’acutizzarsi dei problemi economici. La guerra in Ucraina ha fatto il resto. La Tunisia, al pari di molti Paesi dell’area, dipende dalle importazioni di grano ucraino e russo. I prezzi dei beni di prima necessità sono quindi saliti, oggi tanto nella capitale quanto nelle aree più remote ci sono molte famiglie impossibilitate a comprare pane e pasta. L’inflazione è cresciuta, le manovre di bilancio sono molto limitate, di soldi in cassa ce n’è sempre meno.

Il presidente tunisino Kais Saied parla ai giornalisti durante le elezioni del 17 dicembre 2002. Foto: Epa/Mohamed Messara

L’aumento di partenze verso l’Europa

Una situazione che quindi fa ben capire gli allarmi del governo di Roma. L’aumento della povertà e lo spettro del baratro sociale, stanno spingendo molti tunisini a imbarcarsi verso le coste siciliane. Nel 2022 l’aumento di sbarchi dalla Tunisia è stato imponente. Il trend per il 2023 appare ben peggiore. Nei primi mesi dell’anno, hanno fatto sapere fonti del Viminale, si è assistito a un incremento del 788% degli approdi dalle coste tunisine.

Le difficoltà economiche non sono però l’unica possibile spiegazione. Nei giorni scorsi Kais Saied si è scagliato contro la presenza di migliaia di migranti irregolari in territorio tunisino. Un attacco non motivato da ragioni economiche o di sicurezza. Al contrario, Saied ha parlato di minacce all’identità culturale araba del Paese, promettendo un giro di vita per favorire i rimpatri. Parole che però potrebbero aver favorito anche la fuga di migranti subsahariani verso l’Italia.

L’allarme dell’Italia

I timori, non emersi ufficialmente ma rintracciati tra i corridoi diplomatici, riguardano anche possibili strumentalizzazioni della crisi migratoria per richiamare l’attenzione del governo italiano. Non a caso, già prima del consiglio europeo il ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha parlato della necessità del via libera dell’Fmi ai prestiti a favore di Tunisi. Annunciando, al contempo, uno stanziamento da 110 milioni di Euro a favore delle piccole e medie imprese tunisine. Chiara quindi la posizione di Roma: la Tunisia non può fallire e non può essere lasciata cadere verso il baratro. Il rischio è quello di un’esposizione prolungata dell’Italia ai flussi migratori e alle pressioni politiche di Saied.

Giorgia Meloni ha posto il tema al centro dei colloqui avuti a margine del consiglio europeo con Emmanuel Macron. É qui che il presidente del consiglio ha parlato del possibile arrivo di 900.000 migranti dalla Tunisia. Una cifra forse approssimata per eccesso, ma che dà l’idea della forte preoccupazione del governo italiano. Preoccupazione confermata anche da diversi esponenti dell’esecutivo. “Non può bastare l’aiuto apportato in mare, il problema va affrontato a monte nei Paesi di partenza, con particolare attenzione per quanto sta accadendo in Tunisia”, ha commentato ad esempio nelle scorse ore il vice ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Maria Teresa Bellucci.

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