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Kohaku: il primo ristorante giapponese kaiseki a Roma – Agrodolce

C’è una parola, entrata stabilmente nel gergo di clienti e addetti al settore della ristorazione, pronunciata quando si vuol definire sorprendente un pranzo o una cena: esperienza. A Roma, non distante da via Veneto (Via Marche 66), la stessa proprietà della valida izakaya Shiroya, ha aperto Kohaku, il primo ristorante nella Capitale specializzato in cucina Kaiseki. E qui le esperienze possibili sono addirittura due.

Cos’è la cucina Kaiseki?

Prima di addentrarci nella descrizione della proposta di Kohaku, capiamo meglio cosa si intende per cucina Kaiseki. Nel suo significato originario, il termine indicava il pasto frugale, composto da diverse piccole portate, servito durante la cerimonia del tè, rito sociale e spirituale, legato al buddismo zen. In questo tipo di cucina i piatti caldi sono serviti con il massimo rispetto delle temperature, le quantità di cibo vengono calibrate in modo da garantire la dose giusta per la degustazione ed evitare gli sprechi e sono assenti elementi decorativi privi di una precisa funzione gustativa.

Ogni piatto poi, strettamente legato alla stagione in corso per creare una connessione con la natura, ha un intento comunicativo e svolge una funzione augurale specifica. L’avvento dell’approccio Kaiseki, tra il IX e il XII secolo, rappresentò una rivoluzione che soppiantò di fatto lo stile Honzen, caratterizzato, al contrario, dal servizio di molti piatti in diversi vassoi, ricchi in varietà e quantità, accompagnati da orpelli superflui. Nell’accezione più moderna e ampia, la parola Kaiseki è intesa come sinonimo di cucina gourmet giapponese, molto centrata sull’armonia, nel gusto, nella presentazione del cibo e nell’ambiente in cui si consuma il pasto.

La doppia offerta di Kohaku

Dicevamo delle due esperienze fruibili. La prima, il Kohaku Sushi Kaiseki è un percorso dedicato prevalentemente al sushi, da gustare al bancone, dove, al lato opposto delle sedute, lo chef Kazuaki Kawane, con gesti precisi e quasi ipnotici, prepara le piccole portate, curandone la presentazione nei minimi dettagli, nel rispetto dell’essenzialità Kaiseki. Ogni pietanza è servita direttamente dalle mani dello chef, seguendo una ritualità intrisa di valori simbolici.

Alle 20:30, ogni sera, dieci ospiti partecipano alla cena, che inizia con un calice di pregiato sakè e il saluto di Kazuaki Kawane, mentre il sous chef inizia a tagliare il pesce. A rendere ancor più rilassata l’atmosfera, una playlist di musica giapponese, tra jazz e lofi. Dodici portate, che cambiano spesso, sono servite in un ordine che alterna gusti, temperature e consistenze.

L’altra opzione, Kohaku Kaiseki, consiste invece in un menu degustazione, servito ai tavoli, di piatti caldi preparati secondo le tecniche tipiche della cucina del Sol Levante: bollitura, cottura al vapore, griglia e frittura per immersione. Le materie prime sono stagionali e il più possibile locali. Il riso è biologico, proveniente dalle terrazze della prefettura di Nigata. La selezione di Saké è curata da Sabrina Bai, titolare e degustatrice esperta della bevanda a base di riso fermentato.

I prezzi di Kohaku

Il percorso di sushi, disponibile solo a cena, costa 180 euro a persona, bevande escluse. La prenotazione è d’obbligo ed è altrettanto inderogabile la puntualità, dato che alle 20:30, dopo il benvenuto dello chef, si dà inizio al servizio. Il menu Kohaku Kaiseki, di nove portate servite al tavolo, viene proposto a 120 euro a persona, bevande escluse. A pranzo si può ordinare alla carta, quando è disponibile anche il ramen oppure si può scegliere una bento box, l’iconico contenitore portapranzo giapponese, contenente riso, contorni, pesce, carne, verdure, onigiri, tempura, verdure cotte o marinate, tofu e altri cibi varianti a seconda della stagione.

Il locale

Non poteva che essere minimale il design degli interni di Kohaku, che rimanda alle storiche dimore della città di Kyoto. Il legno è assoluto protagonista, dall’arredamento al pavimento fino al soffitto. A spezzare l’egemonia materica è un uso disinvolto ma discreto del travertino che ricorda agli avventori di essere comunque a Roma. Venti i coperti a cui si aggiungono i dieci al bancone.

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