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La rivoluzione può attendere, ma solo in Italia

(Paolo Di Paolo – repubblica) – In Francia, il tema delle pensioni, proiettato su un orizzonte più ampio, assume i contorni di una richiesta radicale di ripensamento dello schema lavoro-tempo libero come tempo umano. In Portogallo, appannato il sogno del “buen retiro” per pensionati stranieri, le proteste riguardano essenzialmente l’aumento degli afflitti e i prezzi delle case, una già impressionante crisi abitativa che l’inflazione rende anche più minacciosa. Nella capitale, Lisbona, gli affitti sono saliti del 65% e i prezzi delle case del 137%.

La Germania, alle spalle la lunga era Merkel, lo scorso 27 marzo ha vissuto uno degli scioperi più significativi degli ultimi tre decenni: l’istanza di base ha a che fare con l’aumento dei salari. Astensione dal lavoro e protesta di piazza: strategia “classica”, otto- novecentesca, anticapitalista. E se gli anni Venti di questo secolo stessero ricominciando da lì?

All’aeroporto di Bordeaux, così come in quello di Parigi Charles De Gaulle, l’altra sera – in sale d’attesa sovraffollate per le decine di voli cancellati – non ho registrato fra i passeggeri discorsi di grande insofferenza.

Una rassegnazione calma, e semmai complice: con la determinazione dei “disobbedienti” civili disarmati. Che nelle grandi capitali belle e gentifricate, con gli affitti alle stelle nei centri storici e periferie geografiche ed esistenziali sempre più in affanno, ritrovano uno slancio quasi rivoluzionario.

O sarebbe meglio dire lo spirito della democrazia come partecipazione e dialettica: dove l’astensione indica sfiducia radicata e distanza dalle istituzioni, i corpi la riassorbono accostandosi ai luoghi del potere.

È il rompete le righe di un lungo lockdown del disincanto? L’infrazione collettiva del codice cinico: chi l’ha detto che niente può cambiare? Come da settimane a Tel Aviv, così nel cuore dell’Europa si rivede la piazza! E sarebbe fuori fuoco leggerla con i paradigmi anti-politici e populisti che hanno intossicato il trapasso del Novecento.

No, sono piazze politiche, intensamente politiche: così come quelle che […] hanno negli ultimi anni costretto i leader del mondo a mettere – almeno formalmente – la questione climatica in testa all’agenda. «Hai dimenticato, mio caro, quanto rumore faceva il tumulto», scriveva un intellettuale tedesco di pensieri ruvidi e battaglie civili come Hans Magnus Enzensberger.

Ma bisogna sapere – aggiungeva, guardando a geografie lontane dall’Europa che il tumulto non finisce mai. Magari ha luogo «dove abbiamo la fortuna di non vivere», è solo una questione di prospettiva.

O di tempo: se, come sembra, torna a lampeggiare nelle strade e nelle piazze del continente che chiamiamo vecchio e che lo è sempre di più. Fa l’appello e la conta una società civile che non vuole limitarsi a sperare, né accetta di vedersi sventolare sul naso una bandiera ingannevole con scritta la parola futuro.

Forse è tornata a credere che la politica non è solo un modo di pensarsi e di vedere il mondo, ma è «questione di vita o di morte », per usare le parole di uno scrittore francese nato sei decenni dopo Enzensberger, Édouard Louis. Fai ancora politica?, gli domanda il padre. Il figlio dice sì. Fai bene, risponde il più vecchio, ci vorrebbe proprio una rivoluzione. E in Italia?

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