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Le chiese di Norcia lasciate alla rovina da ormai 7 anni

DOPO IL TERREMOTO LO STATO ASSENTE – Da Sant’Agostino all’Oratorio della Misericordia: un interminabile atto di accusa verso le autorità civili e religiose che non se ne curano affatto […]

(DI TOMASO MONTANARI – Il Fatto Quotidiano) – In questa Settimana Santa, chi davvero ama il patrimonio culturale non pensa alle mostre scintillanti, alle chiese a biglietto, ai capolavori violentati al servizio delle fiere di questo e di quello. Pensa, invece, alla passione e morte del patrimonio abbandonato. Un’agonia lenta e inesorabile: dopo la quale rischia di non esserci resurrezione.

Di tutto questo non si parla: forse perché turba l’associazione, funzionale al marketing, tra arte e perfezione, arte e eternità, arte e bellezza smagliante. Tutto il pensiero occidentale sul patrimonio culturale, invece, è un pensiero sull’invecchiamento e sulla decadenza: e dunque, al tempo stesso, sulla cura necessaria. E sulle inevitabili amputazioni: su un tramando di conoscenza che fa comunque e sempre i conti con una perdita. Non alludo alla tradizione di meditazioni sulle rovine, o addirittura sulle macerie (una linea culturale di straordinario fascino, che ha naturalmente uno stretto rapporto con quanto sto provando a dire): parlo invece della meditazione su ciò che è ancora in piedi, ma che è comunque imperfetto, compromesso, segnato. Non sulla morte, insomma, ma sull’età, sulla vecchiaia, sulla debolezza: intese come dati di fatto ineludibili, ma anche come valori da accettare, e da leggere. Proprio per questo il patrimonio ferito e in agonia va comunque salvato: e invece il potere politico e i media si voltano dall’altra parte, quasi lasciando intendere che preferiscono che quei poveri, fastidiosi resti scompaiano del tutto, invece di essere restaurati e riportati alla vita, per quanto a una vita dimidiata. Una eugenetica del patrimonio che ha trovato espressione politica e amministrativa nella riforma Franceschini: che ha concentrato finanziamenti e personali nei grandi musei autonomi, condannando a morte il patrimonio diffuso, che è poi la grandissima parte del “patrimonio storico e artistico della nazione” (art. 9 Cost.).

Un esempio? Le chiese di Norcia. Devastate dal terremoto del 30 ottobre 2016, dopo quasi sette anni sono ancora scoperchiate e (nonostante coperture parziali e inefficaci) esposte alle intemperie. Solo la Basilica di San Benedetto è stata restaurata, mentre tutte le altre sono di fatto abbandonate. Sant’Agostino, San Francesco, San Filippo, Santa Maria degli Angeli, la chiesa del Crocifisso, l’Oratorio della Misericordia, Santa Caterina, Sant’Antonio abate, Santa Maria della Pace: una litania di distruzione, un interminabile atto di accusa verso le autorità civili e religiose che non se ne curano.

Prendiamo Sant’Agostino. “Da sette anni – mi scrive Romano Cordella, presidente di Italia Nostra della Valnerina – tutto è rimasto come al momento del terremoto, salvo una copertura aerea aperta su tutti i lati che non ha impedito l’azione degli agenti atmosferici. La chiesa versa nel più completo abbandono. Le conseguenze sono visibili nelle drammatiche immagini che uniamo. Né la Curia arcivescovile di Spoleto, né la Soprintendenza per i Beni Culturali dell’Umbria, né il Comune di Norcia, né la Regione dell’Umbria, né altri enti sono intervenuti finora concretamente per cercare di salvare ciò che resta di questo monumento in piena agonia”. Le fotografie sono eloquenti: con quegli affreschi abbandonati, inermi, alle intemperie. E là dove le autorità si voltano dall’altra parte, sono i cittadini a chinarsi impietositi sui loro monumenti, per quel rapporto sentimentale che rende vive le pietre, e più durevoli le nostre vite. Enrica Coccia ha fondato un Comitato spontaneo salviamo S. Agostinuccio a Norcia, chiedendo che “Parta la ricostruzione di Sant’Agostino Minore per la salvaguardia della nostra identità. Subito”. La nostra identità: una volta tanto non citata per usarla contro qualcuno (qualcuno nero, su un barcone), ma per salvare la nostra anima.

Quell’appello prosegue con parole sagge, profonde: “Pochi giorni or sono ho potuto guardare, attraverso gli occhi di un drone, ciò che l’Oratorio di Sant’Agostino Minore a Norcia conserva con stoicismo e caparbietà al suo interno. Stringe a sé scranni deformati dalle intemperie, il suo bell’altare e lo stupendo soffitto, con l’abbraccio delle sue vetuste mura imbevute dell’acqua di piogge e nevi degli ultimi sette anni. Li stringe con le sue ultime forze, forse aiutato un po’ dalla testardaggine del nostro amore per la sua arte e la sua storia. Ci siamo battuti come abbiamo potuto perché chi ha il potere di salvarlo si accorgesse dell’urgenza che le condizioni di questo luogo gridano senza voce. Ma a tutto quello che abbiamo sofferto e stiamo soffrendo si sommano negligenza, trascuratezza, sottovalutazione di chi potrebbe fare e non fa, complici la soffocante burocrazia e il nostro stesso colpevole disinteresse. Perché ricostruire senza salvare i nostri tesori artistici e spirituali equivarrebbe a cancellare in pochi anni millenni di storia, cultura e memoria collettiva”. È del futuro che parliamo, non del passato. Ma ci sarà futuro, per le chiese di Norcia?

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