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Le sanzioni e la rabbia. L'Iran alla prova della tempesta

Le proteste che scandiscono la vita dell’Iran hanno almeno una duplice origine. Da un lato c’è quella più immediata dell’assassinio di Mahsa Amini e la rabbia della popolazione contro la repressione degli Ayatollah e il sistema di controllo delle forze di polizia e paramilitari. Dall’altro lato, l’ira di una importante fetta della popolazione iraniana si è aggiunta a un senso di frustrazione che da anni tormenta la Repubblica islamica sia per le politiche dei “chierici” sia per la grave crisi economica che attanaglia il Paese. Una situazione estremamente complessa in cui gioca un ruolo importante anche il meccanismo delle sanzioni imposte dall’Occidente.

Il ruolo delle sanzioni

Le sanzioni rappresentano da diversi anni un paradigma fondamentale delle relazioni tra Iran e Occidente. L’obiettivo di queste misure è quello di limitare l’azione delle personalità o delle istituzioni colpite, ma anche di privare l’Iran di introiti e rapporti economici utili alla Repubblica islamica per la sopravvivenza. Un sistema quindi a doppio binario che in qualche modo diventa il termometro della percezione di Teheran rispetto al mondo euro-atlantico: esse aumentano o diminuiscono a seconda dei progressi interni ed esterni dell’Iran rispetto ad alcuni dossier-chiave, dal programma nucleare fino al rispetto dei diritti umani. E questo fa sì che il regime sanzionatorio diventi allo stesso tempo uno strumento di punizione verso determinate azioni del potere politico o di alcuni segmenti di esso ma anche di pressione sul Paese colpito, variando a seconda anche della tipologia del provvedimento.

Dal blocco al commercio di alcuni prodotti al congelamento dei beni fino al divieto di viaggio di alcuni elementi del regime, è chiaro che queste misure hanno evidentemente un impatto molto diverso nell’apparato di potere o nella stessa popolazione. Ma quello che è certo è che esse producono da un lato un maggiore isolamento di alcuni gruppi di potere o individui, dall’altro un notevole problema per lo Stato e le aziende di ottenere denaro e materie prime utili per far respirare l’economia.

Gi effetti su tutto il sistema Paese

Sul funzionamento delle sanzioni rispetto al sistema della Repubblica islamica, gli osservatori concordano che gli effetti si sono avuti non solo sulle singole entità colpite, ma anche sull’intera rete economica e sociale, andando di fatto a colpire tutta la popolazione. I dati economici mostrano che l’unico momento di relativa crescita dell’Iran si è avuto quando sono state rimosse le misure restrittive grazie al raggiungimento dell’accordo sul programma nucleare. Ma quella breve finestra di opportunità si è chiusa dopo pochi anni andando a calare come una mannaia sul già fragile complesso economico iraniano.

Questo, come detto in precedenza, ha fatto sì che le proteste contro di matrice culturale e politica si siano sommate alle istanze di chi aveva già manifestato la propria rabbia in questi anni a causa della crisi economica e sociale che sta caratterizzando il Paese. L’aumento dell’inflazione, il crollo dei redditi, la mancanza di investimenti da parte delle aziende occidentali, le difficoltà nel commercio con l’estero e una sfiducia generale nel sistema hanno creato una spirale che, come spiegato da Nikolay Kozhanov del Middle East Institute, ha condotto anche a un sistema bancario sempre più chiuso e incapace di sostenere i già pochissimi investimenti.

Lo strano assist al nazionalismo di Teheran

Muovendosi le sanzioni su questo duplice binario, è opportuno dire che queste misure restrittive o repressive possono avere diversi tipi di conseguenze. Dal punto di vista politico, esse colpiscono in modo molto chirurgico la possibilità di determinate personalità, categorie o enti interni alla Repubblica islamica proibendo una serie di rapporti internazionali fondamentali. Tuttavia, è anche vero che il sistema degli Ayatollah si fonda in larga parte se non sull’isolamento quantomeno sulla sfida a un determinato metodo di governo e una determinata visione del mondo. La curiosa fusione di nazionalismo iraniano e visione islamica ha forgiato il Paese post-rivoluzione e ha di fatto costituito la base culturale e politica di Teheran negli ultimi anni.

Pertanto, non è da escludere – come del resto già avviene – che l’establishment più duro, più nazionalista e anche più repressiva ne esca paradossalmente più intransigente facendo leva su un pensiero strategico ormai radicato sull’esistenza di un nemico e di un assedio. D’altro canto, le sanzioni di per sé almeno a livello individuale o di gruppo assumono anche poco senso a livello interno, proprio perché chi protesta è già consapevole dell’essenza nefasta di alcune entità. Mentre chi è fedele al sistema, di fatto non considera in alcun modo destabilizzante il fatto che “il grande Satana” vada a punire i rappresentanti della Repubblica. Molto spesso anzi le sanzioni hanno prodotto proprio l’effetto di rafforzare gli ambienti più nazionalisti e anti-occidentali, con la conseguenza che anche i partito più “moderati” vengono travolti dagli effetti del blocco economico occidentale dando spazio alle rivolte e, parallelamente, alle forme più dure di repressione e di retorica incendiaria.

Il rischi per la fine del welfare state degli ayatollah

Il nodo delle sanzioni, specialmente perché i singoli possono facilmente bypassarle con i rapporti con gli Stati che non vi aderiscono, si concentra principalmente sugli effetti economici. E questo perché appare chiaro che il crollo degli introiti finanziari comporta un malcontento sempre più diffuso in assenza di garanzie minime per larghi strati della popolazione. Alberto Negri, citando un intervento di Ervand Abrahamian, ricorda che “finora l’Iran si è retto più che sulla religione su un sistema di welfare state e sussidi che grazie al petrolio ha assicurato il consenso reale”. L’assenza di questo flusso economico può provocare danni particolarmente importanti, scontati poi in modo più cruento dai ceti più poveri. Non a caso le Nazioni Unite avevano messo in guardia dal pericolo di enormi deficit nello Stato sociale iraniano con particolare riguardo alle condizioni del settore sanitario.

Risulta quindi abbastanza probabile che la tempesta perfetta di protesta ideologica e di rabbia per le condizioni economiche venga cristallizzata da un blocco di provvedimenti che mina ulteriormente la sopravvivenza degli Ayatollah. Un sistema che difficilmente può continuare a vivere in una perenne economia di guerra, soprattutto perché in questo momento le condizioni sociali sono cambiate: la grande quantità di giovani e l’assenza di prospettive di crescita sono due fattori che, combinati tra loro, non possono che generare malcontento e dolore.

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